Due direttrici ma poche vere bisettrici.
Era il tempo dei Moog, dei VCS, dei mellotron, dei flauti traversi. Era il tempo in cui la contestazione sessantottina si era svestita dei sogni e l’illusione psichedelica era diventata disillusione. Un concerto dei CSN&Y (forse) scriveva, nel 1971, in musica l’epitaffio di una generazione.
Come per ogni onda d’urto che segue l’esplosione, il contraccolpo ripiegava su esigenze di solide fondamenta sulle quali edificare, come in un film di Alejandro Jodorowsky, “Montagne Sacre” ma purtroppo lontane dal genio di “El Topo”.
Mentre il mondo a stelle e strisce si adoperava a riordinar(si) rielaborando le sue (giovani) tradizioni (dopo aver destinato comunque ai posteri piccoli capolavori fuori genere come i Silver Apples e gli The United States of America), nella vecchia Europa, come in una teogonia, la perfida Albione generava il suo pantagruelico gemellare mostro: era giunto il tempo del rock progessive.
Fratelli eterozigoti, l’uno, con l’animo della sperimentazione più pura, puntava verso il visionario delirio (King Crimson, Henry Cow, Van Der Graf Generator, High Tide e il Canterbury Sound di Robert Wyatt – il suo Rock Bottom resta uno dei più bei dischi di tutti i tempi – dei Soft Machine, dei Caravan, degli Hatfield & the North … ), l’altro si perdeva invece in se stesso e nella sua elefantiasi (genitale) di barocchismi sinfonici (ELP, Yes, Genesis, Gentle Giant, The Nice, Renaissance , Greenslade …).
Entrambi, al pari di Caino e Set, avrebbero a loro volta generato progenie destinata a popolare l’intero globo (il rock progressivo come il metal è un genere senza epoca e senza frontiere, basti pensare ai Crucis e ai Magma argentini, ai Bacamarte brasiliani, ai Phoenix rumeni … ).
Se si esclude, quindi, la co(Eva) matrice teutonica di Kraut Rock (forse, insieme al Jazz, la più fulgida intuizione musicale della seconda metà del nostro secolo … ma loro avevano per sé, quali padri putativi, Schoenberg e Stockhausen), il rock progressive di stampo anglosassone è quanto di più rappresentativo in musica vi sia stato a cavallo tra il finire degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta.
E poi vi era l’Italia, un paese che in musica ha (sempre) troppo sofferto di un’invidia del pene esterofila … finendo con emulare in nome, in fatto e in sostanza quanto proveniva d’oltre manica.
In un ginepraio di gruppi famosi e meno famosi, che dalla PFM, passando per il Banco del Mutuo Soccorso, per le produzioni della Cramps Records, per gli Osanna, le Orme, i Trip, le Arti + Mestieri, il Balletto di Bronzo, i Perigeo … arrivano sino alla Locanda delle Fate, a Quella Vecchia Locanda, ai Biglietto per l’Inferno, agli Stormy Six, furono poche le vere bisettrici capaci di tagliare in due con originalità uno scenario musicale saturo di cloni non sempre riusciti e oggi oggetti di culto per nostalgici appassionati.
Bisettrice furi dal coro furono sicuramente gli Area – International POPular Group e la loro voce Demetrio Stratos (tanto che è quasi una forzatura catalogarli nel prog). La loro musica, infatti, si seppe muovere oltre ogni cliché, oltre il già sentito, verso l’avanguardia, raggiungendo punte estreme con dischi come Maledetti – Maudits (ancor più totale dei classici Arbeit macht frei e Crac!), e nei concerti della metà degli anni settanta (dal vivo ad esempio nasce Caos un brano-happening in cui è il pubblico a suonare mediante due lunghi fili collegati agli oscillatori del sintetizzatore, così che la termodinamica corporea degli spettatori ne moduli l’intensità e la frequenza dei suoni ).
Ed è proprio in quegli anni che Stratos incomincia ad approfondire il personale percorso della voce, nel “Cantare la Voce”, che lo portò a esplorare le infinite potenzialità del suo strumento (al pari di colleghe illustri quali Meredith Monk, Joan La Barbara, Diamanda Galas, Cathy Berberian).
Investigazioni, diplofonie, triplofonie, flautofonie … studi … una santissima trinità vocale di testa, cuore e viscere.
Se però Stratos, con i suoi lavori, rende unica la propria voce come comunicazione puramente sonora … depaupera la stessa della forza comunicativa della parola che nei testi degli Area aveva capacità di “Evaporazione” tanto forte da essere tombale nella scomposta ricomposizione di moniti quali “Abbiamo perso la memoria del quindicesimo secolo”; sì perché Stratos oltre ad essere voce era “verbo”, colto tanto contemporaneo e proiettato verso il futuro quanto ossimoro nella “Gerontocrazia” e seminale nello “Scum”.
autore: Marco Sica