Esplosi in brevissimo tempo, dopo due o tre tentativi andati a buca, gli australiani Wolfmother resistono nonostante dissidi e liti interne, cambi nervosi di line up e improbabili progetti paralleli dispettosi. Resistono e tornano a calcare le scene con New Crown, disco che vede una “riformulata” band in cui Andrew Stockdale, Ian Peres ed il nuovo batterista Vin Steele pestano duro come sempre ed immolano il loro sound a santi protettori mai dimenticati come i Seventies bluastri dei Sabbath e degli Zeppelin in gran spolvero di hard rock dalle fumose brume doommate.
Disco che nel “classicume” di genere sguazza alla grande, riff assatanati e ombre compresse sono la gloria totale della tracklist, un wall of sound che – al pari di porfido monolitico – diffonde bordate di chitarre e pelli che portano la memoria a fare un bel salto indietro di circa quarant’anni, tra un raduno rock al Santamonica Pop Festival e un Fillmore straboccante di flower power. Quello che gli australiani insistono a divulgare nelle loro scorribande sonore è hard rock vintage, senza un aggiunta di moderno che sia una aggiunta, fedeli alla linea hard rock fino al midollo e che per questo, non molto benvoluti tra le schiere giovanili di stampo nerd o quantomeno indie, la loro è una convulsione continua “in analogico” che nelle fumisterie diaboliche di Enemy is in your mind, Tall ships e She got it rigenerano fasti e mitologie che – tutto sommato – fanno piacere a chi le ha vissute, mentre con un fantomatico Ozzy che scalcia virtualmente in Radio quello che rimaneva appannato ora emerge in tutta la sua nostalgia.
Non vi aspettate cose sconvolgenti, piuttosto ottimi calori e bollori d’un tempo mai sopiti.
http://www.wolfmother.net/
https://www.facebook.com/wolfmother
autore: Max Sannella