“Come home”, il terzo lavoro dei bolognesi Franklin Delano, è stato sicuramente uno dei lavori italiani, sia tra artisti mainstream che indie, più interessanti del 2006/07. A seguire riportiamo un’intervista fatta al loro leader e cantante, Paolo Iocca (nella foto), che con Marcella Riccardi ha fondato il gruppo. Iocca si è mostrato molto disponibile nello spiegare sia le dinamiche interne al gruppo, sia la differenza che hanno registrato tra il mondo musicale Usa (“Come home” è stato registrato a Chicago e negli Usa hanno fatto anche un tour, dopo il precedente “Like a smoking gun in front of me”) e quello italiano.
Partiamo dall’aspetto più evidente, che riguarda il cambio di stile avvenuto in “Come home”, nel quale avete in parte smarrito la vostra parte sperimentale, in favore di un sound più strutturato. Perché questo passaggio?
Concordo in parte con questa tuta visione. Il punto è che dopo il tour in Usa avevamo voglia di un approccio meno banale e avevamo voglia di fare più rock. Negli Usa poi siamo venuti a contatto con molte persone e ci è venuta voglia di confrontarci con la tradizione Usa, tentando di andare a fondo, evitando di fare cose che c’entrassero poco con quella la tradizione. Il paradosso poi è che, prima di “Come home”, in Italia ci hanno sempre marchiati come filo-Usa. In Usa, invece, ci hanno sempre detto che il nostro sound non era assolutamente riconducibile a quello loro. Così abbiamo voluto approfondire questa cosa, guardandoci meglio dentro.
Come ha reagito il pubblico Usa a “Come home”?
Non lo sappiamo perché siamo stati in Usa, durante il tour di “Like a smoking gun in front of me”. In ogni caso in quell’occasione abbiamo presentato alcuni brani che poi sarebbero finiti su “Come home” e abbiamo riscontrato una buona reazione. Tuttavia, dipende sempre dal pubblico se è abituato o meno alla musica sperimentale o se si accontenta da quella più immediata.
Quale differenza avete riscontrato tra il pubblico Usa e quello italiano?
Tra il pubblico Usa e quello italiano in fondo non abbiamo constato nessuna differenza, perché nei due Paesi nei centri più piccoli abbiamo suonato e suoniamo in locali dove si suona di tutto, mentre nelle grandi città abbiamo suonato e suoniamo in locali più specializzati, dove si ascolta più che altro musica di un certo tipo.
Avete cambiato più volte line-up, il nucleo principale si è sempre strutturato introno a te e Marcella Riccardi, possiamo considerarvi un gruppo aperto?
Adesso del gruppo fanno parte Marcello Petruzzi e nell’ultimo tour italiano è tornata Vittoria Burattini (anche lei, come la Riccardi, ex Massimo Volume, ndr.) e poi al violino e all’elettronica, solo per i concerti si è aggiunto Nicola Manzan. Spero che questa sia la formazione definitiva. Il fatto che siamo stati aperti è dipeso più che altro dalla necessità, dato che in diverse occasioni non trovavamo l’accordo, per cui diversi elementi sono entrati ed usciti, rendendo il gruppo fluido. Per questo spero che ci siamo stabilizzati.
State già lavorando a del nuovo materiale?
Si, stiamo lavorando su cose nuove, anche se non ancora in modo massiccio, penso che fra poco entreremo in sala per cominciare a registrare.
“Come home” l’avete registrato a Chicago, qual è la differenza principale che avete colto tra il modo di lavorare in Italia e in Usa?
La differenza principale riguarda la scansione degli orari. Negli Usa cominciano prima e ad una certa ora staccano. Così è molto meglio rispetto all’Italia, dove si tende a lavorare finché non se ne può più. E’ meglio perché quando esci dallo studio il tuo cervello è meno confuso e non ti fischiano le orecchie. L’esperienza fatta all’Engine Music Studios di Chicago è stata molto positiva, ci siamo trovati molto bene, gli studi sono ottimi con della tecnologia di gran qualità. Un’altra differenza rilevante è la qualità del materiale, in quanto loro utilizzano nastro analogico e poi passano il registrato sul digitale, cosa che in Italia non fa quasi più nessuno (a parte il Red House di Senigallia, ndr.). In Usa, l’analogico viene considerato ancora un ottima risorsa.
Con la vostra attività musicale riuscite a sbarcare il lunario?
Non ancora, infatti, facciamo tutti dei lavori occasionali. L’unico che ha un lavoro fisso è il bassista, che fa il grafico.
Come sono andate le vendite di “Come home”?
Non te lo so dire, perché la Ghost records deve ancora comunicarci le vendite. In ogni caso ai concerti il pubblico è molto propenso ad acquistare i nostri cd. Tuttavia, c’è da considerare che le vendite sono basse per tutti. Per il futuro stiamo pensando al digitale come risorsa a basso costo, magari con un artwork più interessante per l’acquisto, oppure ai vinili.
Un’ottima strategia di vendita che molti stanno utilizzando è quella di allegare al cd un dvd. Ci avete pensato?
Potrebbe essere un’idea, ma per il momento non abbiamo video, stiamo completando quello di “I know my way”. Per il futuro probabilmente intraprenderemo anche noi questa strada.
Vi sentite parte di un mondo musicale indie?
Non necessariamente, per noi esiste un solo mondo musicale, è chiaro che uno tenti sempre di alzare il tiro, poi chiaramente ci sono tanti fattori che determinano il successo o l’esposizione di un gruppo o di un artista. In ogni caso oltre il mondo indie, non vedo altri mondi musicali.
Quali sono i gruppi o gli artisti con cui avete maggiori rapporti di amicizia?
Siamo grandi amici dei Califone, che poi sono le nostre muse ispiratrici. In Italia non abbiamo nessun legame particolare, dato che non c’è stata, finora, nessuna occasione di scambio. In ogni caso c’è stima reciproca per molti.Autore: Vittorio Lannutti
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