Avevano iniziato come backing band di un cantante che ha poi pereferito lasciar perdere tutto e trasferirsi a New York. Si chiamavano Blackbirds, e nonostante un tale “disguido” si sono sentiti affiatati abbastanza per proseguire comunque. E ce l’hanno fatta, nonostante anche un cambio forzato di moniker (questioni di copyright, you know), come testimonia l’EP “Emergency” di qualche mese fa, e questo primo lavoro sulla lunga distanza, che segna anche, già, un cambio di “squadra”, da Touch and Go a Thrill Jockey. Ancora Chicago, città dei 3 musicisti, ancora un’etichetta di spicco.
E come già detto per l’EP, ciò che per prima cosa risalta nella line-up dei Pit Er Pat è l’assenza della chitarra, che trova naturale rimpiazzo, nella guida del sound, dalle tastiere. Ma, come detto sempre allora, togliamoci subito dalla testa qualsiasi presentimento new-wave. Non ci sono altri indizi per dire ciò se non l’ascolto. E l’ascolto di “Shakey” parla di un sound ubiquo, che poggia tanto sui lisci tappeti dell’odierna fusion di Chicago – con leggera smorzatura della componente jazz – quanto su vocals ispide ma non enfatiche, tipiche più di certo post-rock cantato che non dell’emo. Tutto quadra meglio, forse, se pensiamo a dei Blonde Redhead (lei Fay, lui Butchy, a spartirsi il microfono – vi viene in mente un miglior riferimento?) che allargano la formazione a qualche scheggia di Tortoise in libera uscita.
Potrebbe essere una sintesi di buone intuizioni, quelle fiorite dall’una e dall’altra delle citate parti. Invece ne esce fuori il classico disco “né carne né pesce”, privo di spunti particolari, che lascia un senso di acerbità, di poca consistenza, fors’anche di inutilità ai fini della copertura di eventuali “tasselli stilistici” mancanti nella musica di oggi. Buone idee, pochi nervi. Un disco a cui manca il sale, punto.
Autore: Bob Villani