Cagliari calibro 9. Cagliari a mano armata. Concerto per pistola solista. E via parafrasando. Una cosa è certa: i SikitikiS sarebbero una grande cover band. Prendete un qualsiasi gruppo mainstream degli ultimi cinquant’anni, dai Ramones ai Pink Floyd, dai Kinks ai Pulp ai Ribelli e questi quattro (bravi) ragazzi cagliaritani saprebbero ricrearne il sound e senza fare uso di chitarre, per di più. Magia? Beh, magia proprio no, ma di certo una grande abilità strumentale, un’esperienza e un mestiere maturati nei generi più disparati e una buona dose di irriverenza sono alla base di un gioco di prestigio ben riuscito. Ben altra cosa è un disco inedito, laddove l’ottima produzione di Max Casacci per la sua creatura Casasonica mette a disposizione dei Nostri quanto è necessario a nascondere nella cura dei suoni una personalità spesso inconsistente. Peccato veniale, trattandosi di un debutto, che potrebbe persino trasformarsi in un punto di forza. Eccezion fatta per un paio di pessimi tormentoni pseudo-adolescenziali che farebbero vergognare i Lunapop più cazzoni (il punk’n’roll di “Amore nucleare”, le nostalgie surfeggianti in “Non avrei mai”) e per alcune discutibili scelte interpretative da crooner di balera (“Ricognizione”), il disco si muove obliquo ed elegante tra citazionismo estremo e pose vintage, ripescando con merito sonorità certo non nuovissime ma forse sconosciute ai più giovani – Enrico Trudu è il tastierista che farebbe comodo a tante band italiane. Il garage di “Donna vampiro”, le infiltrazioni psichedeliche nello stoner rock di “R’n’R contest”, la drum’n bass che apre “Umore nero” hanno il merito di reggere una tensione costante che si scioglie solo verso la fine, nell’organo floydiano de “La distrazione delle cose”, dove, tra l’altro, si può rinvenire l’influenza del subsonico mentore.
Ma è all’insegna dei numi tutelari Morricone e Malgioglio (sì, proprio lui) che il deserto del Tiki crea i suoi miraggi più convincenti: il tema di “Milano odia, la polizia non può sparare” che, come la cinematica title-track, omaggia gli anni ’70 del progressive italiano; la rivisitazione lounge di Mina (“L’importante è finire”), il carosello demenziale della tv (“Metti un tigre nel doppio brodo”).
I Sikitikis giocano a fare i balordi, si fanno chiamare Diablo, Jimi, Reginald e Zico e come i protagonisti dei tanto amati poliziotteschi sono così convinti del loro ruolo da sfiorare la caricatura involontaria. Revisionismi a parte, la classe c’è e chissà che il talento dei quattro sardi non abbia la meglio su una trama che per ora resta incoerente quanto scontata.
Autore: Rino Cammino