È vero i giorni del vino e delle rose sono ben lontani e non torneranno più, ma Steve Wynn continua imperterrito sulla strada polverosa del rock più genuino, fottendosene allegramente delle mode e del grande successo, preferendo i piccoli club, dove poter stabilire un certo feeling con gli appassionati del suo rock.
La carriera solista dell’ex leader dei Dream Syndicate ha avuto finora molti alti e pochissimi bassi, ma “Northern aggression” è sicuramente uno degli apici della sua produzione senza il sindacato del sogno.
Questo disco, come gli ultimi due, è stato registrato con quello che ormai è la sua backing band fissa, i Miracle 3, ormai totalmente rodata ed in grado di supportare e di assecondare Wynn in tutte le sue inclinazioni musicali. Ciò che affascina di più di questo disco è la sensazione che mai come Wynn abbia raggiunto una sicurezza dei propri mezzi. È vero l’età avanza, ma con il passare del tempo un individuo, in questo caso un artista, è più sicuro di sé, dato che è maggiormente in grado di attingere idee e materiale da un bagaglio di esperienza vastissimo. È questo l’aspetto centrale di questo disco, il fatto che Wynn suoni e canti con grande maestria e scioltezza, senza apparire mai affaticato, ma al contrario sempre carico.
Le tracce scorrono ed il disco cresce d’intensità, non c’è un brano sbagliato o fuori luogo, ma ognuno è complementare al tutto. “Northern aggression”, una sorta di concept sulla Guerra Civile, è intriso di rock, blues, psichedelia e grandi ballate.
La sola “Resolution” vale l’acquisto del cd, con quel ritmo pulsante ed irruente con sopra un cantato rilassante, particolarmente nasale e piacevolmente dissonante rispetto al martellamento costante con cui la base ritmica dei Miracle 3 hanno strutturato e caratterizzato tutto il brano e poi quella coda noise nel finale, la dice lunga sull’esperienza del nostro. Con “We don’t talk about you” emergono alcune reminiscenze del paisley underground e Wynn dimostra di avere molto da insegnare a tanti suoi colleghi anche più blasonati di lui (R.E.M.), dato che ha arrangiato il brano con armonie da grande rocker.
In “No one ever drowns” l’ex Dream Syndicate riesce abilmente a miscelare melodia e noise, facendo evolvere il brano e lo fa trapassare da spunti country su una strada polverosa del deserto californiano, articolando il brano con armonie avvolgenti e confortevoli.
Ammaliante e malefica risulta “Consider the source” una ballata che evoca Calvin Russel. Ammaliante perché il suo ascolto diventa indispensabile, grazie alla matrice dylaniana, malefica, perché ascolto dopo ascolto ne dipendi, soprattutto a causa di quelle chitarre che morbidamente scendono sempre più verso gli inferi.
Con “Colored lights” Wynn rispolvera in maniera molto sfacciata l’andamento di “Medicine show”, ma d’altronde perché farsene un cruccio, ci sono altri artisti che hanno costruito una carriera sugli stessi tre accordi, mentre “The death of Donny B” ha un incedere lento e da cantautorato jazz.
Una lentezza fondamentale, per creare un ambiente da ritrovamento di un cadavere in avanzato stato di putrefazione. Con “The other side” Wynn ci regala la perfect song da viaggio e non ce n’è per nessuno per come riesce ad intrecciare le chitarre, allo stesso modo della marcia inesorabile di “Cloud splitter” o delle staffilate della coinvolgente cavalcata di “On the mend”. Per “Ribbons and chains” si nasconde dietro una voce nasale ed una struttura del brano degna del Lou Reed dei ’70. “
Northern aggression” è giunto alla fine del 2010, ma è tra i primi dieci album dell’anno appena trascorso, al fianco di “Mojo” di Tom Petty & The Heartbreakers”. È un condensato del miglior rock di stampo Usa e dei sottogeneri che l’hanno sempre caratterizzato.
Autore: Vittorio Lannutti
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