Salutiamo con un misto di nostalgia ed eccitazione il ritorno ‘agonistico’ dei …Trail Of Dead che dopo diverse prove passate un po’ in sordina nel corso degli ultimi anni sembrano rinverdire i fasti degli esordi, quando ancora ci sentivamo obbligati a chiamarli con il nome completo: …And You Will Know Us By The Trail Of Dead.
Insomma mica il ritorno scialbettino di un gruppo scialbettino, e no… qui si parla di una delle bands più significative dell’indie rock statunitense, quello più furioso ed animato da sacro furore, quello che discendendo direttamente dal post punk/hc americano di Hüsker Dü e Wipers sarebbe poi andato successivamente a delinearsi come emo(core) il cui apice (e fine naturale) son stati gli At Drive-In.
Visionario ed impetuoso quindi il loro inizio, tale il loro ritorno (gruppi che devono vergognarsi di ben più annacquate prove di mezzo non son certamente loro) senza dimenticare di inserirci dentro quelle trame di pop storto e rumoroso, quelle melodie sghembe che han fatto grande l’underground U.S.A. dei ’90.
Per citare qualche brano, mi soffermerei sull’iniziale Open Doors che è una vera e propria dichiarazione di intenti: un drumming tribale ed una chitarra intermittente annunciano l’aprirsi delle porte di quei tempi indimenticabili, la voce si carica di tutta l’epica ‘indie ‘ possibile (..roba alla Sugar di Bob Mould insomma..) : c’è da scapocciare e fare air-guitar come dei dementi.
Pinhole Camera assume la silouette snella e veloce del primo e migliore emo (Braid, Colossamite, Cap n’ Jazz, Joan Of Arc ecc.), anche se copiano quasi di sana pianta la parte lenta di Die dei Girls (..ed il perché resta un mistero..) e simile nella struttura è la successiva Up To Infinity: assalti sonori mitigati da parentesi riflessive e melodiche.
Bella anche Opera Obscura la cui trama chitarristica è fittissima, densa e …appunto…oscura, supportata da ritmi instancabili ma è con la traccia che dà titolo all’album, Lost Songs, che si tocca l’acme del disco: illuminata da bagliori indie-wave chitarristici ‘80 e ’90 rappresenta una fusione perfetta tra Sebadoh e Guided By Voices e davvero i fans delle due formazioni dovranno legarsi le caviglie per non girare in tondo, come valido è tutto il resto del disco, dall’arpeggio-marea di Flower Card all’intensità anthemica di A Place To Rest, tra le migliori del lotto.
I Trail Of Dead ci restituiscono – almeno per un po’ – quel sorriso beato che da qualche decennio è scomparso dai nostri volti, quando parole come ‘spread’ ci facevano venire in mente un gruppetto punk locale e di ‘precario’ c’era solo il nostro equilibrio mentre pogavamo.
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