C’era un tempo in cui se si parlava di “emo” non ti veniva da pensare a gente con capigliature imbarazzanti e ragazzine urlanti sotto ai balconi di MTV. E l’indie rock non aveva niente a che vedere con trend modaioli da “un singolo e via”.
Questo per dire che, a scanso d’equivoci, è meglio chiarire subito che se doveste trovare la parola “emo” accostata al nome dei Settlefish, vi conviene far volare la vostra mente a gente come i Rites Of Spring di Guy Picciotto, al primo Tim Kinsella o ai Jawbreaker, e non ai bambocci col ciuffo d’ordinanza da riviste per teenagers.
Senza perdersi in inutili divagazioni sul significato e l’essenza dei generi musicali e delle “scene”, diciamo “semplicemente” che questo terzo LP della band bolognese è un ottimo disco rock. Quindici canzoni agrodolci brevi e concise, arrangiamenti semplici ma sempre capaci di sorprendere con trovate che non t’aspetti (un suono di chitarra particolare, un coro, uno stacco, uno strumento “imprevedibile”…), piccoli quadretti sonori (i quattro “interlude”, di cui il terzo sembra uscito dal disco degli Ugly Casanova, ed il quarto è un insospettabile piano-ballad), una tensione – alimentata da chitarre tese e nervose – sempre pronta ad esplodere, ma anche irresistibili melodie squisitamente pop (“The boy and the light”). Un album di canzoni, elettriche ed elettrizzanti. Semplicemente belle. Molto belle.
Autore: Daniele Lama