Il discorso su side-projects e solo-projects messi su da chi un gruppo ce l’ha è storia ormai vecchia, anzi, a volte l’impressione è che la titolarità di più progetti, e quindi più moniker, sia un traguardo particolarmente ambito. D’alta parte non abbiamo elementi validi per condannare questa “pratica”. Semplicemente cominciamo a essere un po’ stufi di veder raddoppiato il volume di dischi in circolazione, a fronte di un aumento meno che proporzionale di artisti. Hanalei, ad esempio: “che strano nome… chissà che… toh! il cantante di The Ghost…”. Capito cosa intendo? E il bello è che mi capita di ascoltare Brian Moss prima solista che non negli stessi Ghost…
La biografia mi è d’aiuto nel “giustificare” questo sdoppiamento artistico. Laddove gli inascoltati Ghost si lasciano etichettare come post-punk senza fraintendimento alcuno, la materia sonora – in ascolto proprio adesso – di ” We’re All Natural Disasters” (a quanta gente starebbe bene una simile affermazione! pardon…) reca su di sé le tracce dello sterminato “giacimento” folk-acustico emerso alla superficie del panorama indie – sì da occuparne una parte visibilmente consistente – di questi ultimi, se non ultimissimi anni (valga anche per altri, oltre che per Hanalei: chi se li sarebbe filati una decina d’anni fa?).
Come la mettiamo allora con gli altri centinaia di nomi passati per questo lettore dalla accomunabile provenienza? I primi minuti di “Disasters” sembrano far rilevare un elemento di distinzione nel “frinire” elettronico che punteggia qua e là gli affreschi – semplici ma elegantemente rotondi anziché scarni – di chitarra acustica spennellati da Moss, come se in sala di registrazione si fosse insinuato una sorta di cyber-grillo. Elettro-folk? Mmmh, se intendiamo chi viene abitualmente identificato in tale etichetta, siamo decisamente fuori strada. Il rapporto di funzionalità tra tali due componenti, rispetto a un Four Tet o a un Kim Hiorthoy, è diametralmente invertito: la timidezza degli pseudo-glitch di Hanalei fa dell’elemento elettronico null’altro che una semplice e marginale sfumatura, fors’anche necessaria come surrogato a ciò che la dimenzione solista cede rispetto alla dimensione di band.
Tutto chiaro, direi, ma c’è il resto – buona parte – del disco, in cui il citato elemento di distinzione fa perdere le sue tracce. Da qui Hanalei intraprende un poco opportuno processo di mimetizzazione tra le altre centinaia di sei corde unplugged che arpeggiano intorno: quelle dei suoi numerosi colleghi. “We’re All Natural Disasters” diventa un ago in un pagliaio: vallo a trovare tu lì in mezzo…
Autore: Bob Villani