E’ un disco frugale, costumato e al tempo stesso conturbante come un campari e gin prima e dopo (i pasti). Guardo con gli occhi del turista tedesco spelacchiato dal sole – ya! – la giraffa inebetita sulla copertina del ciddì che m’invoglia al safari musicale: tra suoni frugali, costumati, ma al tempo stesso conturbanti, ecc.
Non solo salsabossa o bollicine fresh lounge, modello Montefiori Cocktail, come si poteva prevedere. Anche (evitabile) esibizionismo molle e dance. Ma in fin dei conti piacevole. Con un principio soul che casca a fagiuolo (“Eternally”). Con un indimenticabile arrembaggio afro, flutes e lievi coretti pa-pparappappa-pà ultra70’s, tipo, per capirci, film-di-albertosordi-in-africa (“Muff Ya Bossa”). Con una voce da castrato ma forse è voce di donna (formula Mondo Candido).
Con un basso liquido a ritmare con l’associazione a delinquere di un sax quasi degno di Maynard Ferguson, l’electrofunk di “CoffeBreak”. Con una voglia matta di rimanere a metà strada tra l’house garage delle grandi voci e delle frasi fatte e il discorso di carezze lounge. Con un finale con vento tra i capelli – “Breakfast at the Sahara” – che evoca orizzonti ramati sul mare calmo con palma, stampati su un catalogo Valtour.
Quattro musicisti – made in Switzerland e Deutschland – firmano la prova. I loro nomi sono ordinatamente affiancati dall’alter ego: Levent Canseven aka “The MasterMind” (scrive, arrangia, suona le percussioni, lava, stira, fa da padrino al battesimo, praticamente fa tutto lui); Xavier Fisher aka “The Professor”; Guido Craviero aka “The Player”; Angela Karan aka “La Diva”. Fabbri esperti, c’è da dire, della leggiadra materia. Materia sonora che anela come sede elettiva il baretto sul naviglio milanese alle sette di sera.
Come non amarli quando sulla prima di copertina scrivono in ammiccante corsivo “sixteen magnificent tracks brought to you by Can7”. Sediamoci in poltrona, serviti e riveriti dalle sedici tinte del loro sound safari.
Autore: Sandro Chetta