Dimensione club, poche luci rosso-blu, tante ombre date dalla presenza di un folto pubblico e meritato sold out al First Floor di Pomigliano D’arco.
Greensky Greenlake e il chiacchiericcio in sala è rotto. Un richiamo bluesy preannuncia l’inizio del concerto, scende il silenzio sulle note distorte della chitarra, con riff di spiccato gusto estetico.
La vena blues non si nasconde, da subito fluisce libera ed incisiva nella sua semplicità rubando immediatamente la scena.
I Dead Meadow, semplici ed efficaci, a tratti anacronistici per la struttura seventies, sono lontani da tutti quei dettagli più elettronici in voga, qui il suono vero prende il potere e ci fa da guida come l’inizio di un viaggio.
Incipit poco più aggressivo per 1000 Dreams: poche parole, un piacevole ascolto d’altri tempi sottolineato da un’acustica perfetta.
Il suono è ipnotico, suggerisce subito l’appartenenza allo stoner ma più leggero e tendente al blues, in particolare per gli assoli alla chitarra che riportano a certi Motorpsycho lisergici mentre i richiami hard riportano ai Blue Cheer.
La vista del palco, passa in secondo piano rispetto alla musica, diventa meno necessaria la visuale. Al terzo brano Goof Moanin’, inizia a sgorgare il carattere più psichedelico e vintage ’70, che si fonde magnetico al pubblico costretto ad ondeggiare inconsapevolmente a ritmo, per celebrare quest’apoteosi del rock psichedelico. I Dead Meadow sono differenti rispetto al passato più sperimentale e hard, sono coinvolgenti.
Ritmi incalzanti, ripetuti ossessivi non hanno un carattere né malinconico né negativo, il tutto è piacevole da ascoltare, sorprendentemente poco metal ma c’è fermezza e struttura lineare nelle composizioni proposte. Unica regola è lasciarsi andare anche quando le trame diventano più melodiche. Accade in Keep your Head e qui ci spostiamo alla fine degli anni ‘80, sound più lento e melodico quasi alla Buckley, che non perde di incisività, ma rimanda ad un’attiva meditazione al ritmo delle distorsioni, arrivando a What Needs Must Be.
The Light nonostante il nome, è la melodia più oscura e porta con sé un gusto quasi post punk, sempre con la costante bluesy ma dal sound più dark e dal riverbero arrabbiato. ‘Till Kingdom Come è un’esplosione psichedelica incalzante e potente, riff divino: da applauso scrosciante.
Verso la fine, il viaggio tende ad essere più calmo con le atmosfere romantiche di At Her Open Door dove sentiamo anche il loro caratteristico gusto folk.
The Narrow e Sleepy Silver Door concludono il live raccogliendo tutti quelli che sono i tratti distintivi del sound dei Dead Meadow, lasciando tutti soddisfatti della qualità e dell’originalità di questo viaggio. Tra chitarre blues e luci rosse, attraversa epoche dai più giovani poco vissute, ma perfettamente rappresentate da un’atmosfera decadente ma non per questo debole: incisiva e forte , poche parole tante note.
L’atmosfera intima del club ci avvicina e ci accomuna e i pensieri dei presenti vanno in un’unica direzione al suono del drone riff onnipresente, che vira al blues e non allo shoegaze ma non meno pregno di atmosfere sognanti, un bel viaggio per i sensi che si muovono a ritmo modulato.
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autore: Noemi Fico