Kathryn Williams è la classica cantautrice per la quale il tempo sembra non passare mai. Non solo perché al suo decimo album, Crown Electric, per la One Little Indian, la sua voce sembra non essere invecchiata di un solo tono, ma soprattutto perché il suo stile resta immutabilmente legato al più classico dei folk, quello americano degli anni ’60 e ’70. Il titolo dell’album, così come racconta nella devota e appassionata Gave It Away, è un omaggio raffinato a Elvis: Crown Electric era la ditta che lo assunse come guidatore di camion prima di registrare la prima volta ai Sun Studios. E dunque anche nel titolo la Williams rimane legata al passato che in ogni canzone di questo disco vuole evocare con la sua voce e con la sua chitarra acustica. Lei stessa lo definisce un album “classico”, e ci dice che “questo disco riguarda l’importanza del tempo. E’ la cosa più preziosa che abbiamo”.
La songwriter nata a Liverpool e stabilizzata ormai a Newcastle esplora con le sue 13 liriche sempre ispirate e suggestive tutte le sfumature del tema del tempo: da quella del tempo come paralisi da cui fuggire (Underground) a quella del tempo come ozio (nella volutamente melliflua Monday Morning), a quella del tempo come ricerca (Heart Shaped Stone) a quella infine del tempo come progettualità (Count).
Il produttore Neill MacColl (già fedele collaboratore in Two e in The Quickening, gli ultimi due precedenti dischi) avrà speso la sua fatica a scegliere le 13 canzoni del disco fra le 60 che la Williams ha prodotto in questa fase fervida e sicuramente molto motivata della sua carriera. Per definirla, lei stessa cita un verso di Tequila: “Sii abbastanza coraggiosa da essere te stessa. E’ quello che sto cercando di fare con questo disco”.
Coraggio o meno, nel disco si percepisce certamente tanta volitività, tanto lavoro, tanta precisione, tanta cura nei dettagli, notevole per un album di impianto fondamentalmente acustico e sorprendente addirittura se si pensa che è stato inciso in tre giorni, tutto dal vivo, agli studi Bryn Derwen con una band di tutto prestigio composta da Neill MacColl alla chitarra, Jon Thorne dei Lamb al basso, e Luke Floweers dei Cinematic Orchestra alla batteria.
Al di là di qualche episodio isolato (un rock-pop per Count, un pop classico per il singolo Heart Shaped Stone, e un intro quasi-icelandic di Picture Book) tutto il disco è un coerente e costante devoto omaggio al folk, nemmeno tanto rivisitato, come nell’indie-folk attuale di oltre oceano. Katrhyn Williams è una delle poche voci di oggi che cerca di rinnovare i fasti delle Joni Mitchell e delle Joan Baez di una volta, anche se certamente la sua produzione è decisamente più intimista, soffusa, con un tocco di ricerca esistenziale, rispetto alla grande stagione del folk al femminile.
Un tocco insomma di dolcezza e calore che la sua voce, prima di ogni altro strumento, riesce a rendere dalle prime fino alle ultime note, facendosi perdonare anche quel po’ di inevitabile mancanza di innovazione che una produzione del genere inevitabilmente incontra.
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autore: Francesco Postiglione