All’interno della stagione festivaliera italiana, contrassegnata quest’anno da casi di flessione delle presenze e criticità ben più gravi (vedi l’Heineken Jammin’ di Venezia, stigma di una stagione festivaliera non certo esaltante), Pomigliano Jazz si pone come un fenomeno peculiare in fiera contro-tendenza. Infatti quello che si tiene nella vitale cittadina a Est di Napoli è un Festival in costante crescita, in grado di toccare nell’edizione odierna, l’illustre risultato delle cinquantamila presenze complessive, presenze che ne hanno animato i luoghi con una partecipazione che è andata molto spesso al di la dell’ aspetto musicale.
L’eccellente risultato di pubblico non deve comunque far pensare ad un cartellone musicale “ruffiano”, tale da attirare consensi con faciloneria. Questa praticaa forse trapelata in alcune edizioni del passato recente quest’anno sembra davvero scongiurata, infatti, grazie all’eccellente lavoro degli organizzatori le quattro giornate del festival hanno visto alternarsi sul palco artisti di primo piano, alcune sere con delle vette assolute, ma la cosa che maggiormente stupisce e gratifica gli spettatori, è proprio il percorso così diverso ed autentico, a volte anche difficile, che ognuno di questi artisti porta quest’anno in dote al festival.
Si parte con la coraggiosa anteprima di “The Grey Close“, ultimo lavoro di Itinera, l’etichetta del festival. Un omaggio al Song Book firmato da Hanns Eisler e Bertold Brecht, un progetto firmato da Francesco D’Errico e Claudio Lugo, completato da Don Moye, amico e supporter del festival nel mondo e dal poeta, scrittore, performer tedesco Hartmut Geerken. Il quartetto lavora di intrecci finissimi, sottintesi sonori, affascinanti sottotraccia, non detti, evocativi coloriti e cangianti, che dal vivo risultano ancora più crudi e coinvolgenti, esperimenti scaturiti dalla radice di un teatro sonoro colto e divertito nel dare sfogo a esperimenti scenico-musicali legati alle avanguardie artistico-musicali di più alto spessore. L’esibizione è senza dubbio di altissimo livello, il pubblico non sempre capisce, ma si adegua. La serata continua con il Chamber Trio di Giorgio Gaslini, che con nonchalance inanella perle patrimonio del freejazz e della musica contemporanea – brani di Carla Bley, Ornette Coleman, Gabriel Faurè, perfino una rilettura dei Doors – con tatto e classe. Si conclude con le atmosfere latin del quintetto di Roberto Fonseca, nientemeno che il sostituto di Ibrahim Ferrer nella formazione Buena Vista Social Club.
Il secondo giorno è contrassegnato della jamm session fiume effettuata dal quartetto di Hoiracio “El Negro” Hernandez, insieme ai fiati della Parco della Musica jazz Orchestra e dal quintetto di Roy Hargrove, un flusso ritmico allegro e vitale, senza soluzione di continuità, con decine di musicisti alternatisi sul palco, divertenti e divertiti, per più di tre ore, a macinare musiche del mondo, partendo dalla celeberrima Night in Tunisia di Dizzy Gillespie, verso orizzonti esotici ed agonisti.
La terza sera è quella dedicata ad una collaborazione scaturita dalla sintesi di due sensibilità uniche e complesse: il Nils Petter Molvaer | Bill Laswell Group: il primo etereo trombettista norvegese di matrice elettronica, il secondo leggendario produttore e bassista gia al fianco di musicisti del calibro di Herbie Hankock e Ryuichi Sakamoto. E’ l’esibizione stessa del quintetto ad essere intrisa di quest’assetto bipolare, che oscilla dalle gelide e rarefatte atmosfere della tromba “trattata” al laptop condite di delicate chitarre post e campioni del norvegese, alle iniezioni ritmiche di matrice perfino Dub e Trip-Hop del secondo. Un progetto ambizioso ed affascinante, che, sacondo l’indole musicale dei due headliner, troverà un seguito ancor più complesso ed efficace nel lavoro di studio che da questo tour europeo scaturirà.
La serata finale è infine tutta per l’ansamble di Jan Garbarek, sassofonista norvegese di matrice fusion, uno dei primi in assoluto ad aver scandagliato i territori di confine tra il jazz e gli universi sonori dell’ambient con una serie di dischi per l’etichetta ECM che rappresentano delle pietre miliari di una sperimentazione jazz scarna e senza fronzoli, minimale ma forte di un sensibile lavoro di composizione.
Il set della serata di Pomigliano, esclusiva per l’Italia, è formalmente perfetta, con un quartetto affiatatissimo all’interno del quale spiccano le trame limpide e brillanti di piano alla Keith Jarret di Rainer Bruninghaus, e il drumming unico ed inimitabile dell’indiano Trilok Gurtu, che intesse trame ritmiche di immensa varietà tecnica e sonora, condendo il jazz di speziature vocali e frammenti percussivi di altre tradizioni, rendendo il set di una contemporaneità ancora più evidente. Su tutto il sax di Garbarek è sapiente alambicco di suoni incontaminati, in grado di dosare gli equilibri di una performance impeccabile.
Autore: Pasquale Napolitano
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