Il quintetto perugino composto da Emanuele Principi (v), Nicola Cappelletti (bs), Gianni Andreucci (drm), Roberto Tomassi (ch) e Nicholas Beavon (ch) esordisce con un discreto album di rock italiano, capace di mostrare qualche spunto interessante pur restando saldamente nel solco della tradizione rock nostrana, e che contribuisce a rincuorarci sullo stato di salute della nostra musica: quando infatti gli esordi cantati nella lingua italiana sono regolari come in questo periodo, è segno che la produzione musicale nazionale perlomeno si tiene in carreggiata…
Se 10 anni fa seguivate con interesse la coraggiosa – ma poco fortunata, per la verità… – esperienza de ‘I Taccuini’, collana discografica proposta dal Consorzio Produttori Indipendenti che dava spazio a musicisti (alcuni mai esplosi quali Massimo Fantoni, ma anche promesse mantenute come Marco Parente o Andrea Chimenti) potrete trovare in questo gruppo sotto contratto con la Skontro Music Agency pane per i vostri denti: i Lilith infatti propongono proprio quel genere di rock indipendente esistenzialista, ricercato nelle composizioni ma sempre d’ambito pop, poco istintivo e dai testi cervellotici e colmi di pathos romantico (malgrado il gruppo di fatto non scriva affatto testi d’amore…).
Emanuele Principi, del resto, canta e scandisce con tono e voce identici a nomi pesanti della musica indipendente d’autore italiana: penso soprattutto ad Andrea Chimenti (impressionante la somiglianza in ‘Animazione’, quando si chiede“com’è che si diventa qualcuno con cui la gente ha paura a parlare?”, o in ‘Leggenda’, con quel cantare in prima persona tipico di Chimenti: “mi sono mischiato a voi nelle piazze e nei cortei…”), ma anche Lalli nelle sue composizioni meno etniche, persino l’ultimo Emidio Clementi di ‘El Munìria’; tutti autori con i quali, a pensarci bene, i Lilith hanno in comune anche la totale mancanza di interesse per i ritornelli: in questo disco non ce ne sono; altra similitudine con gli autori succitati è il palese tentativo del quintetto di fare poesia (francamente, ciò contribuisce a rendere difficili da seguire canzoni come ‘Libertà’ – addirittura da una poesia di Eluàrd – o ‘Quello che Riveli’).
Il rischio poi, ed i Lilith lo devono sapere, è quello di rimanere così rinchiusi in una nicchia musicale: quella esistenzialista in cui s’è andato a cacciare proprio Chimenti, per dire; se invece avranno fortuna, magari l’anno prossimo vedremo questi ragazzi sul palco del Primo Maggio a Piazza San Giovanni, con parecchio pubblico a cantare in coro le loro canzoni dai testi impossibili da imparare a memoria).
Produzione molto limata, voce in bella evidenza (la solita scelta buona per mandare un singolo in FM, ma non per venire incontro ai gusti di noi rockettari…), suono tuttavia ripetitivo lungo le 12 canzoni – si tira un po’ il fiato quando il violino di Elis Tremamunno dà una tinta diversa di colore a ‘Leggenda’, e bisogna assolutamente che i Lilith facciano ricerca su timbri sonori differenti –. Gli spartiti invece, pur non facendo fare salti sulla sedia, sono buoni, specie quando cercano traiettorie sempre melodiche ma almeno imprevedibili.
Autore: Fausto Turi