L’opinione diffusa a Napoli, loro città di provenienza, era che gli Epo fossero ultimamente spariti dalla circolazione per carenza d’ispirazione, per la difficoltà insomma di assemblare qualcosa che fosse almeno lontanamente all’altezza del loro secondo disco, Silenzio Assenso, formidabile lavoro del 2007 che all’epoca MTV Italia addirittura inserì a sorpresa nella propria top ten internazionale di fine anno; o magari che lo sforzo inaudito per autoprodurre quel disco con le proprie sole forze – questo nuovo esce per la piccola, tenace etichetta napoletana Polosud – fosse stato talmente gravoso da scoraggiare il quintetto dal riprovarci.
Il nuovo disco conferma invece gli Epo tra le più valide realtà indipendenti nazionali, e dobbiamo dire che in questi 5 anni l’indie rock cantato in italiano della band di Ciro Tuzzi ci era mancato, in qualche modo, mentre quel modo di raccontare la vita si faceva largo grazie a tante band simili, ugualmente valide, nate più o meno negli stessi anni ma magari più tenaci, scaltre, o semplicemente fortunate; e diciamola tutta, allora: gli Epo non sono mai stati molto bravi nel promuovere la propria immagine, mantenendo sempre un profilo umile, umano, reale.
Oggi la band si presenta come terzetto, e ad accompagnare Tuzzi ci sono Michele De Finis (chitarra, basso, pianoforte; già ne Il Vortice e Redroomdreamers) e Jonathan Maurano (batteria) oltre, in sala d’incisione, al contributo di tanti volti noti della scena indie rock napoletana – Giovanni Block (flauti), Giovanni Truppi (pianoforte/cori), Simone Morabito (Onirica), Dario Sansone (Foja), Claudio Domestico (Gnut), Nicola D’Auria (Onirica), Claudia Sorvillo (Corde Oblique) – presenti quasi a voler rendere omaggio ad una solida realtà della musica napoletana moderna: un riferimento.
Rispetto a Silenzio Assenso qui si nota subito un ricorso decisamente minore ai suoni elettronici, che ad ogni modo anche all’epoca non erano troppo determinanti nelle canzoni degli Epo, ed un intimismo dell’anima ancora più deciso, questo invece da sempre caratteristico nei brani del gruppo, le cui tinte emotive rimangono sempre l’incomprensione, la malinconia, la contraddizione e il tradimento di sé stessi, imparare dagli errori senza lasciarsi abbattere dalle circostanze, e ciò col supporto espressivo non indifferente della voce del cantante, davvero degna di nota come non mai; e dunque la linea di continuità con il passato è nettissima, ed il talento di Ciro, e la sua capacità di poggiare un piede nel cantautorato italiano ed un altro nell’indie rock americano soprattutto a cavallo tra anni 90 ed anni zero è cosa rara, mentre tra le 10 tracce di Ogni Cosa è al suo Posto emergono lampanti alcuni episodi di grande coinvolgimento, nei quali De Finis contribuisce con riff ed incisi di chitarra elettrica che talvolta ricordano vagamente certa wave anni 80.
Sempre piuttosto cupi i testi di Tuzzi – la nostalgia incolmabile di ‘Animali Fragili’, dal delicato arrangiamento alla tastiera, i lividi e i corpi esanimi di ‘Nastro Isolante’, i frutti marciti della splendida traccia n°2 intitolata ‘Venere’, i graffi di ‘Perdermi’, il malessere inconsolabile di ‘9 secondi di Oblio’… – soprattutto fissi su un punto d’osservazione ed un climax emotivo immutabili e soggettivi, e malgrado ciò che viene fuori sia una rappresentazione della realtà circostante molto attuale, in linea con lo scoramento diffuso, gli Epo non sviluppano alcuna riflessione sociale, ma piuttosto ci conducono in alcuni casi sul baratro di una paranoia interiore, talvolta invece nel lucido sforzo di contenere e comprimere rabbia e frustrazione, nel tentativo di sopravvivere senza perdere la ragione.
Autore: Fausto Turi