A conti fatti, sembra che allontanandosi o, piuttosto, filtrando sempre più quel calderone musicale che è l’indie rock italiano, nel quale troviamo di tutto, dal piccolo gioiello alla vaccata più grande, riusciamo a ricavare un genere che in Italia da sempre riesce a mantenere una standard medio abbastanza alto. Quello a cui faccio riferimento è una sorta di pop rock cantautoriale. Basta guardarsi un po’ in giro e tirare le fila di quello che è successo nell’anno appena trascorso. Basti pensare, infatti, al fenomeno Baustelle, piuttosto che a gruppi come i Perturbazione o i Lombroso. E ad aprile si aggiunge anche l’ultimo album dei Numero 6 “Dovessi mai svegliarmi” (Eclectic Circus/V2) che segue l’apprezzato “Iononsono”, e che ritrova il gruppo di Michele Bitossi (al quale si affianca Stefano Piccardo) a fare i conti con una crescita che si riscontra, senza dubbio, in quest’ultimo lavoro. Maturazione che si sente sia nei testi, leggeri e ironici ma mai banali, sia nella musica, dove c’è molta attenzione agli arrangiamenti, spaziando come dice lo stesso Bitossi da “canzoni che hanno una veste molto scarna, acustica, cruda (ad) altre più ricche di sfumature e di suoni”.
Apprendo, tra l’altro, che hanno affiancato, nella realizzazione complessiva dell’album, i Numero 6 anche diversi scrittori, che nel booklet (che non ho!), hanno collaborato con scritti ispirati all’ascolto delle canzoni di “Dovessi mai svegliarmi”; frutto di un progetto di “commistione tra musica e letteratura”. E se i nomi spaziano tra Valeria Parrella, Marco Mancassola, Gianluca Morozzi fino a Nanni Balestrini, beh c’è da fidarsi. “Spara se vuoi” apre l’album, e subito sembra avvicinarsi, tanto per farsi un’idea, ai Lombroso, “Un finale rocambolesco” è deliziosa, e non riesci a mantenere il piede fermo, “A galla i demoni” parte che sembrano i Television, ma è solo impressione, ed è l’unica canzone che ha un paio di strofe in inglese. Molto bella è anche “Mi succede”, nel quale Bitossi ammette che gli succede di guardare nelle finestre altrui, mentre in “Al cuore della storia” la voce, negli acuti in falsetto, ricorda quella del leader delle Vibrazione, ma si limita a quelle, e anche qui il ritmo è accattivante e viene voglia anche a te di battere le mani a tempo. Accenni elettronici in “Verso casa” mentre “Ora però credici” è forse la più rock dell’album, e riesce bene.
Insomma il disco fila che è un piacere, ce ne fossero di più di ragazzi che crescano non solo a pane e hard rock, risultando poi nell’imitazione fallita, trash (Labranca docet). Bravi ragazzi.
Autore: Francesco Raiola