Roberto ‘Bobo’ Rondelli comincia da subito a suonare con il gruppo Les Bijoux, coi quali incide l’album My home. Nel 1992 il gruppo passa a cantare in italiano e cambia anche nome, diventando Ottavo Padiglione.
L’anno successivo la band incide il primo disco omonimo. Nel 1995 è la volta di Fuori Posto, seguito da Ondareggae del 1999.
Dopo essere passato all’etichetta indipendente Arroy, Rondelli pubblica nel 2001 Figlio della luna e ad un anno di distanza realizza Disperati, Intellettuali, Ubriaconi, disco prodotto e arrangiato da Stefano Bollani. Nel 2003 è la volta di Ultima follia/Best a bestia, un doppio con dieci inediti scritti con la nuova formazione degli Ottavo Padiglione.
Nel 2011 esce L’ora dell’ormai, seguito dal lavoro più recente A Famous Local Singer. Da pochissimo è uscito il nuovo album “Come i Carnevali” che vede la collaborazione alla scrittura di Francesco Bianconi dei Baustelle e la produzione artistica di Filippo Gatti. L’album è pubblicato da Picicca dischi
Lo abbiamo intervistato per fargli qualche domanda sul nuovo lavoro e per il suo nuovo tour che il 24 aprile lo porterà a suonare al Modo di Salerno.
Bobo Rondelli, musicista, attore e poeta. Questo lavoro è un omaggio alle poesie di Emanuel Carnevali, sconosciuto ai più. Ci racconti la sua storia e cosa ti ha colpito della sua arte?
È stato un incontro casuale. C’era un libro in casa di un mio amico, Andrea Rivera, quello che suonava i citofoni dalla Dandini. Lui è un amico, è romano, dormivo a casa sua e mi è capitato questo libro tra le mani e ho deciso di rubarglielo perché, sfogliandolo, ho visto che era toscano, stile Dino Campana, aveva rapporti con Ezra Pound, mi sono addentrato nella lettura e ho capito che è stato un genio delle letteratura italiana. Purtroppo è sconosciuto ai più quindi mi ha presa la voglia di partire da una sua frase, “semino parole da un buco della tasca”, poi i coriandoli di carnevale, il suo cognome, ecc. Il dovere di chi fa canzonette è quello di diffondere le cose belle che ci sono state nel mondo e essere questo piccolo tramite mi piace.
Cosa hai voluto raccontare in “Come i carnevali”?
Un po’ tutto, un po’ la mia vita. In genere nelle canzoni e nelle poesie racconti te stesso, le tue gioie e i tuoi fallimenti e, perché no, la gioia di fallire. Il fallimento è lo stato di grazia dell’innocenza.
Ti riesce più facile raccontarla con una canzone?
Sì perché comunque i fallimenti si fanno ascoltare. Nei film in genere mettono sempre il lieto fine. Nelle canzoni il lieto fine sta a te: ovvero con l’esperienza arrivi a fregartene.
Quando le cose vanno male è sempre una preparazione per l’attacco finale… “passare all’altro mondo”, capito? Quindi uno sfigato è più abituato. A parte gli scherzi, servono disavventure sennò l’avventura non sa di niente. Un matrimonio che va bene non c’ha nulla da raccontare, due innamorati… spaccano le palle!
Nell’album ci sono chiari riferimenti alla letteratura e al cinema (Luchino Visconti, Tognazzi, Fellini), e tu stesso sei anche attore. Con quale magia riesci ad unire cinema e musica??
*voce che imita Tognazzi* Praticamente riesco con la supercazzola con scappellamento a destra e antani divento matto, divento matto.
*voce che imita Mastroianni* Ma quello che mi riesce meglio è sicuramente Marcello Mastroianni. Affinché io riesca a conquistare le donne, con la voce di Marcello non mi resiste nessuna.
Ho una passione per i suoni. Ormai sono un uomo-macchina di suoni. Aspetto, infatti, la riapertura delle case chiuse per farmi trovare in una stanza dove imito Mastroianni, in un’altra che faccio Johnny Cash… Faccio bene pure il napoletano, ‘o sapet’ pecchè? Peeché nun so’ napulitan’, je so’ pazzo.
A proposito, dicevamo che hai fatto parte di “Ottavo Padiglione” una band il cui nome prendeva ispirazione dal reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno. Qual è la tua esperienza con questo tema? Anche se un po’ l’abbiamo intuita…
Sono passato alle volte da quelle stanze. Più che altro ci sono andato per non fare il militare ma poi mi mandarono al confine. Ho provato a fare il paziente ma non mi hanno creduto.
A me sembra che ci sia talmente tanti pazzi in giro, negativamente parlando. Ma servirebbe un po’ di sana pazzia, in fondo che cos’è la normalità? Lo dico anche in una canzone. In uno spettacolo, con ragazzi disabili, urlavamo dal palco agli spettatori “Normaloidi! Normaloidi! Normaloidi!”. Del resto, fare un lavoro tutta la vita non mi sembra una cosa tanto normale se devo essere sincero.
Tu trasformi il lato tragicomico della vita in canzoni. Sul tema della legalità se tu dovessi scrivere una canzone quale sarebbe la cosa che di getto ti verrebbe da buttar giù?
Io sarei favorevole ad un Gandhi dittatore. Una dittatura illuminata che non ha bisogno nemmeno di far violenza e col suo esempio e con la sua etica riesce a trascinare i malviventi dalla sua parte, un po’ come faceva san Francesco. Un po’ come Mujica. Sono contro gli arricchimenti facili, il più del dovuto (questa è pazzia!), questo volere di più, non essere mai contenti. Sogno un mondo dove tutti possano avere l’indispensabile. Dignità per tutti. Prima di andare sulla luna dovremmo cercare di sfamare la terra.
Affermazioni davvero condivisibili. Grazie per questa piacevole chiacchierata e a presto.
Volete qualche altra imitazione? *ride* Grazie a voi, ciao!
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autore: Luigi Oliviero