La vita violenta e un trattato di ateismo, contro gli dei imperanti e immateriali del quotidiano vivere quieto. Adolescenze di villeggianti, annoiati, rimandati a settembre, dopo le tristi spiagge di Follonica e la modella smagliante che brucia. Ci sono i prezzi da pagare sulla poesia malinconica che ricompare, lavorata di fino e di largo, in cori e sonate. Le magie del pop attraversano finalmente l’etere saturo e ridondante. C’è troppa roba e pochissime perle in quest’etere marcio, degno specchio dei tempi. I maiali sono fuggiti e tutto irrompe senza scelta, ma poi riecco i Baustelle e il disamore, il dolore che monta e ridiventa rabbia innamorata. Arrivano come proiettili sparati al cielo. E io che non ho un treno in attesa, purtroppo o magari, rimango in bilico sulla tazzina, mattina, nel bar. “Gli spietati” scivola tra le prime ore, perfetta e uguale, perfetta e immorale. Non è impossibile confonderli. Quasi. Rivolgo una prece a San Remo. Blasfemo. Come si fa a non capire di essere soli da sempre? Come si sente la notte a ospitare un brano adagio e amaro come due o tre lezioni di Faber, chiamato a memoria da un brano sontuoso come “I mistici dell’occidente”? Come si guarda il passato remoto e le turbe uguali, vissute uguali, figure identiche da contrastare, assolutamente? Questo è un paese di merda, pieno di scarti trasmutati e ritmi riciclati. Ma il presidente non lo sa e manco se ne fotte. Metto lo zucchero e volto la carta in onore. Rimescolo e tiro a sorte sui pezzi. L’elenco di amori rapidi, “Groupies”, di occhi grandi e patologie. “Il sottoscritto” parla di rapine mai accadute e lettere fallite. Nessuno osservi il ciclo delle citazioni, il dotto gioco dei titoli e dei versi, la nostalgica e finta noncuranza delle “Rane”, troppi anni fa. La rivoluzione che non muore mai, la suadente e costante voce di Rachele, le mani nel vuoto che ondeggiano sui vecchi west, sulle melodie, ancora puntate al cuore, ai ricordi andati a male. È un disco triste e collettivo, un mosaico che piglia d’altri tempi e guarda negli occhi a corteggiare l’ascolto. Balliamo, questa roba fende l’immaginario e diventa quasi viva, ma di vita violenta e occasioni al vento. Il caffè è andato, il pezzo è finito. Stavolta il singolo simile ha quel nome cinico da duello postmoderno. Riguardare il film di quell’infame del vecchio Clint, prego. Io fischietto, come i veleni da bar. Appena zuccherati. A ciascuno la sua “ultima notte felice del mondo”, e i mille sentori di musica Italiana, pezzetti di storia per chiudere in pura bellezza. Questo è quello che da anni aspettavo passassero le radio. Niente altro che pop. E vuoi vedere che Irene Grandi e Noemi diventino degne voci in vece del buon Francesco Bianconi.
Autore: Alfonso Tramontano Guerritore