Dopo la delusione dell’album interamente strumentale del 2008, The Effects of 333, i Black Rebel Motorcycle Club (BRMC) si sono messi al lavoro sul serio. Dopo due anni dall’album che non ebbe successo neanche tra i fan più accaniti della band di Peter Hayes, è finalmente disponibile “Beat The Devil’s Tattoo”, sesto lavoro in studio.
L’album vuole essere in qualche maniera una sfida per la band stessa, la quale ripercorre nelle 13 tracce i precedenti lavori come “Baby 81” e “Howl”, tanto diversi quanto simili, ed entrambi caratteristici di un sound ruvido e nostalgico allo stesso tempo. “Beat The Devil’s Tattoo”, primo singolo omonimo estratto dall’album apre il loro lavoro. Un pezzo energico, fresco, che scandisce perfettamente ogni singola nota, che si sporca della venatura rock and roll che caratterizza la band.
La voce di Heyes è sempre meravigliosa, perfetta nel suo genere; penetra nelle viscere del brano e sembra fondersi perfettamente creando una melodica armonia. “Concience Killer”, brano seguente ricalca le orme della vecchia e amata “Berlin” (Baby 81), brano psichedelico più che mai e rock and roll al punto giusto. ”Bad Blood” tocca chiaramente le note dello shoegaze più puro e raffinato. I Jesus And Mary Chain sembrano duettare con la splendida e quanto mai velata voce di Heyes che accarezza lievemente le distorsioni estreme delle chitarre. La venatura shoegaze si articola ed amplia ancora di più in “War Machine” che richiama quasi il sound ben conosciuto dei Brian Jonestown Massacre, gruppo del quale Hayes fece parte fino al 1998.
“Sweet Feeling” è una dolce ballata acustica che si rifà al sound malinconico di vecchi brani della band come “And I’m Aching” o Sympathetic Nooze”. Una perla assoluta. “Evol”, brano successivo, è ancora il manifesto del puro shoegaze, del richiamo ai Jesus And Mary Chain e a pezzi come “Birthday” e “Sidewalking” conosciutissimi sicuramente agli amanti del genere.
“Mama Taught Me Better” e “River Styx” rappresentano pienamente la purezza del rock and roll, sfrenato, ritmico, vibrante e fresco. La loro energia conduce l’ascoltatore verso la quiete introspettiva di “The Toll”; ancora un brano acustico, malinconico, in cui la chitarra pizzicata a malapena, coinvolge e cattura, e la voce di Peter accarezza e graffia le melodie.
“Aya” è sicuramente un’altra perla da tenere in considerazione. Brano a metà tra il rock psichedelico e lo shoegaze più primitivo dei BRMC, affronta, ad intervalli dettati da un ritmo a volte frenetico a volte pacato, una vasta selezione di suoni, idee e sperimentazioni che ne fanno un pezzo unico e raro, da custodire preziosamente.
“Shadow’s Keeper “e “Long Way Down” non fanno altro che ribadire la venatura strutturale di questo disco. Lavoro puramente rock per il primo brano, ballata con piano e voce evocativa per il secondo. La band dimostra ancora una volta le proprie capacità di saper spaziare affrontando temi musicali diversi, esperenti universi tanto lontani quanto vicini e simili nella loro unicità. “Half-State”, brano conclusivo, è una lungo viaggio sperimentale in cui le chitarre vengono messe a dura prova e le percussioni scandiscono il lento ma regolare battito della voce, ancora una volta unica ed irresistibile.
I 10 minuti di “Half-State” riassumono verosimilmente l’intero disco. Nulla è lasciato al caso, e il culmine è negli ultimi tre minuti di fuoco. Il suono è violentato fino all’esasperazione, ma è ancora brillante e audace. Il brano punge e lascia il segno indelebile di un album meraviglioso, che senza ombra di dubbio colloca i BRMC tra le migliori band rock degli ultimi 10 anni.
Autore: Melissa Velotti
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