Parliamo un po’ di questo secondo disco dei Breakfast. Parliamone e chiediamoci perché tutti quanti i musicisti, di talento e non, creativi e non, innovativi e non, sembrano sentire in questo momento la necessità irrinunciabile, quasi una pulsione mistica, di pronunciarsi sull’uomo ordinario, e sui problemi di tutti i giorni e il cane da scendere e la spazzatura da buttare. Interroghiamoci e rispondetemi, perché io proprio non riesco a capire.
Quando si potrebbe mirare più in alto, quando ci sono tutte le potenzialità per poterselo scordare l’uomo qualsiasi, l’”eroe” della porta accanto.
Quando si è in grado di fare un disco fresco dalla prima all’ultima nota, che non stanca, che si desidera ascoltare in macchina durante un viaggio, che si muove con agilità tra riferimenti ed omaggi al rock tutto, quando si riesce a scrivere e cantare un pezzo (“Chocolate for the prize”) che rimaneggia per l’ennesima volta il controtempo Beatles – Chemical brothers senza risultare ripetitivo, quando si è in grado di essere pop senza dare fastidio, quando si suggeriscono gli Oasis ma la cosa non disturba, anzi, e si riesce ad essere orientaleggianti ma non brutalmente new-age. Insomma, quando si è un gradino al di sopra in maniera indiscutibile e sarebbe un peccato non vantarsene, e l’uomo ordinario, un po’ mediocre, è sotto che ci guarda e fa ciao con la manina. Non si potrebbe pensare, almeno per una volta, di lasciarlo lì?
Autore: Serena Leone