Se negli USA quanto codificato dai Melvins con il loro splendido “Ozma” del 1989 e dai Kyuss con l’altrettanto splendido “Blues for the Red Sun” del 1992 (che rispettivamente definivano due generi che affondavano le radici in una tradizione inaugurata sin dagli anni settanta, sotto il profilo “doom”, dai Black Sabbath e, sotto il profilo “stoner”, da gruppi minori quali i Sir Lord Baltimore) vedeva negli anni novanta giusta crasi con gli Sleep (come testimoniano gli ottimi “Sleep’s Holy Mountain” del 1993 e “Jerusalem”/“Dopesmoker” del 1999/2003), in Inghilterra, nell’ultima decade del millennio, furono gli Electric Wizard alfieri di una esatta fusione di doom metal e stoner (menzione particolareggiata va poi agli statunitensi Earth e al loro splendido e imprescindibile “Earth 2: Special Low Frequency Version” del 1993; non si possono inoltre non citare, per valore “storico”, quantomeno gli statunitensi Saint Vitus, con il loro omonimo del 1984, e Pentagram, con il loro omonimo del 1985, gli svedesi Candlemass dell’epico “Nightfall” del 1987 e gli inglesi Lost Paradise, con il loro omonimo del 1990, Cathedral di “Forest of Equilibrium” del 1991 e My Dying Bride di “As the Flower Withers” del 1992, interpetri e/o “precursori” ognuno a proprio modo del “doom metal” in senso ampio).
– da “Electric Wizard” a “Dopethrone”: il periodo d’oro
E così, dopo il promettente ma ancora troppo “hard rock” “Electric Wizard” del 1994 (da citare “Mountains of Mars”, “Behemoth”, “Black Butterfly”, “Electric Wizard”), nell’arco di tre anni (circa) gli Electric Wizard delineano il suono, lo saturano, (s)naturano e danno alle stampe l’iconico “Come My Fanatics…” del 1997 (di pregio “Return Trip”, “Doom-Mantia”, “Solarian 13”…), il bel “Chrono.Naut” del 1997 (un “solido” EP costituito sostanzialmente dal solo brano eponimo diviso in due mutevoli parti), l’ottimo “Supercoven” del 1998 (un EP composto dalle sole “Supercoven” e “Burnout”, che è dallo scrivente il loro disco più amato insieme a “Come My Fanatics…”; “Supercoven” verrà poi anche ristampato in una ancora più interessante versione estesa) e l’emblematico e definitivo “Dopethrone” del 2000 (probabilmente il loro disco più compiuto e caposaldo indiscusso del “genere”, con le sue “Vinum Sabbathi”, “Funeralopolis”, la suite di “Weird Tales”, “I, The Witchfinde”, “Dopethrone”, “Mind Transferral”…), lavori questi che restano ancora oggi quanto di meglio dagli Electric Wizard prodotto. I successivi dischi, infatti, pur mantenendo una buona scrittura e annoverando ottimi brani destinati a diventare “punti fermi” del repertorio (come “Black Magic Rituals & Perversions Vol. 1” di cui parleremo testimonia), hanno progressivamente iniziato a patire (nella loro interezza) una certa ripetitività.
– “Black Magic Rituals & Perversions Vol. 1”
Prima di addentrarci nella disamina “Black Magic Rituals & Perversions Vol. 1” (Spinefarm Records/Witchfinder Records) occorre fare alcune precisazioni.
Il disco è una registrazione live fatta nel 2020 agli Satyr IX Studios Walpurgisnacht, con formazione composta da: Haz Wheaton (Spacebass), Simon Lust (Drums e Perversions), Liz Buckingham (Feedback) e ovviamente lo storico Jus Oborn (Fuzz e Screams); eccetto Oborn nessun altro membro risale, quindi, ai tempi dei citati “Come My Fanatics…”, “Dopethrone” e compagni.
La scaletta proposta è eseguita “live [dead?], raw, uncut and uncensored!! No overdubs, no remorse, just, pure bloody Electric Wizard” (come si legge sulla “bara” apposta sul disco) ed è in sostanza una summa dei loro migliori brani tratti da “Witchcult Today” (del 2007), “Black Masses” (del 2010), “Time to Die” (del 2014) e dal solo “Dopethrone” degli anni d’oro; e qui un appunto (negativo) poiché, data la scelta “temporale”, ci sono grandi assenti, mancando brani sia da “Come My Fanatics…” che dall’omonimo “Electric Wizard” che da “Supercoven” (versioni live di “Supercoven” e “Return Trip” sono presenti nel non facilmente reperibile “Live Maryland Deathfest 2012”), così come gradita sarebbe stata l’inclusione di “Vinum Sabbathi”, “I, The Witchfinde” e “Mind Transferral” da “Dopethrone”. A dispetto del titolo, non è nemmeno presente “Black Magic Rituals & Perversions”; aspettiamo, quindi, un possibile Vol. 2 che ponga rimedio a tali assenze. Va poi detto, quale punto a favore, che la qualità del suono è ottima nella sua ruvida e grezza essenza e che l’esecuzione è viscerale e tesa e in alcuni casi si fa anche (personalmente) preferire alle versioni originali, laddove viene “rallentata” e “macinata” o esaltata dalle chitarre in assolo e da una voce sopra le righe, creando così maggior “spazialità” e riducendo il senso “claustrofobico” di occlusione (ciò sarà motivo di pregio o difetto in base agli individuali gusti).
Ad ogni modo, messo il primo vinile sul piatto, un feedback, il “mefistofelico” riso e suona la possente e meravigliosa “Dopethrone” (da “Dopethrone” del 2000) che appare lievemente rallentata rispetto alla versione originale, più “acida” (soprattutto negli assoli di chitarra) e tirata (manca il rallentamento centrale).
“Incense For The Damned” (da “Time To Die” del 2014), dopo la breve introduzione parlata, parte subito con l’ingresso marziale di batteria (anche in questo caso il bpm appare più lento). Orfana, quindi, della breve e più strutturata introduzione, l’esecuzione s’impone per il suo riff; di pregio la chiusura con la voce declamate in primo piano.
Il Side B è aperto dalla martellante “Black Mass” (da “Black Mass” del 2010), scandita da un riff più “netto” e più “tondo” che suona all’orecchio più marcato (e anch’esso apparentemente più lento) e, come per “Dopethrone”, gli assoli di chitarra sono più “acidi”; con “Black Mass” il minutaggio delle versioni presenti inizia anche a superare quella originaria.
Il primo vinile è chiuso dalla bella “Witchcult Today” (da “Witchcult Today” del 2007) che si distingue (anch’essa) per le chitarre, per una voce più “teatrale” e per la parte “corale di chiusura”.
Cambiato vinile, la musica non “muta” e “sprofonda” con le suggestioni di “Satanic Rites of Drugula” (da “Witchcult Today”) che assumono, nella versione live, toni più apocalittici e cadenzati con le chitarre a fare da padrone che traghettano verso una rallentata “Scorpio Curse” (da “Black Mass”), qui più sentita e trascinata.
Un campanello, un sibilo, rumori, una voce e l’apertura del Side D è affidato alla splendida “The Chosen Few” da (da “Witchcult Today”), con le sue torrenziali chitarre, fiume in piena che si completa nella conclusiva, dirompente e monumentale “Funeralopolis” (da “Dopethrone”), un classico imprescindibile che non delude mai e che colpisce al ventre sin dai minuti iniziali per stendere poi con il suo muro di suono, per un ultimo lato di vinile dall’incredibile impatto e valore che suggella un’esecuzione live che si fa apprezzare nella sua interezza con il suo nero, magico e perverso rituale.
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