Convenzionalmente, si è stabilito che la nascita della videoarte si fa ricorrere dal 1963, data in cui l’artista coreano Nam June-Paik presentò a Wuppertal, in Germania, nell’ambito di quella che è appunto considerata la prima mostra di videoarte, l’opera Thirteen distortions for electronic televisions. Secondo questa convenzione, quindi, quest’anno ricorre il cinquantenario di questa forma d’arte, quanto mai contemporanea, e strettamente connessa al nostro quotidiano sotto l’aspetto medium.
Una tale ricorrenza non poteva essere lasciata passare senza il dovuto rilievo, perciò su iniziativa del festival Magmart | video under volcano ha preso vita il progetto videoartistico 100×100=900 (100 videoartists to tell a century).
Alla base del progetto c’è l’idea che per evolvere bisogna comprendere cosa del passato va archiviato definitivamente. In questo senso, chiamare 100 videoartisti ad interpretare ciascuno un anno del secolo scorso, oltre a costituire una vera e propria narrazione complessiva del ‘900, rappresentava un tentativo di elaborazione del passato, non a caso affidato ad artisti, e non a caso videoartisti – in quanto l’immagine in movimento (cinema, televisione, web) è uno degli elementi caratterizzanti del ‘900.
Mai forse come la videoarte, un’arte è stata così intimamente prossima ai linguaggi della contemporaneità, alla loro grammatica e sintassi. Ed il progressivo passaggio al digitale di ogni forma espressiva per immagini, rende sempre più sottile il diaframma che separa l’utilizzo artistico del medium da tutti gli altri usi. In questo senso, la videoarte può ragionevolmente considerarsi come la forma d’arte più interna al XXI secolo, ed in ciò – quindi – dotata degli strumenti comunicativi più atti al confronto su questo crinale tra i primi due millenni. E per ciò stesso, è anche – potenzialmente – quella che in prospettiva può esercitare un più significativo influsso sulle forme della comunicazione.
Affrontare quindi, attraverso uno sguardo artistico e plurale, la storia del ‘900, voleva essere – ad un tempo – una narrazione corale e visionaria del secolo, la sua rilettura in chiave artistica, la sua interpretazione ed elaborazione.
Rifuggendo da uno sguardo storiografico o politico, per sua natura di parte, e facendo invece ricorso allo sguardo degli artisti, soggettivo e parziale ma non di parte, il progetto puntava a stimolare una riflessione collettiva sulle radici prossime del nostro presente.
Il progetto chiamava anche gli artisti a sperimentare un diverso contesto per la propria produzione; infatti, per quanto la libertà interpretativa fosse fortemente sollecitata, era evidente – in primis agli stessi artisti coinvolti – che la visione complessiva delle opere avrebbe determinato un meta-livello di lettura, che comprende e supera quello di ciascun opera. E questa consapevolezza si è probabilmente – per quanto in forme imprevedibili – riflessa sul processo creativo.
Al tempo stesso, questa era la prima volta che si dava vita ad un progetto del genere, quantomeno nel campo della videoarte, e quindi costituiva esso stesso un esperimento. In assoluta consapevolezza delle enormi differenze, il modello ispiratore del progetto si poteva in qualche misura identificare in Terræ Motus, laddove Lucio Amelio chiamava un gruppo di artisti ad intervenire – in modo appunto complessivo – su un evento di tragica grandezza come il terremoto. Ma anche, ancora una volta, con l’ultima mostra di Nam June-Paik, Moving Time: Tribute to Nam June Paik, in cui furono chiamati 30 artisti internazionali proprio a celebrare il padre della videoarte (New York, 2006).
Il progetto è nato in forte continguità con il festival Magmart, che negli anni ha costruito una comunità di videoartisti ed un network di organizzazioni internazionali che fanno della videoarte il focus principale della propria azione, e che ha la propria base logistica a Napoli, dove dal 2005 (anno della prima edizione) collabora con il CAM di Casoria.
A partire da questa rete, e da questa esperienza, per il progetto 100×100=900 si è cercato di selezionare cento artisti, che comprendessero – per quanto possibile – la massima varietà stilistica, ma soprattutto culturale, capace cioè di assicurare uno sguardo il più vario possibile. In alcun modo, infatti, si voleva che l’esito finale del progetto fosse segnato da una marcata impronta culturale specifica – pur nella consapevolezza che, nell’era della globalizzazione, molte differenze tendono a sfumare.
Gli artisti selezionati provengono infatti da innumerevoli paesi del mondo (Iran, Austria, Germania, Stati Uniti, Serbia, Brasile, Francia, Italia, Olanda, Perù, Cina, Norvegia, Messico, India, Egitto, Estonia, Sudan, Russia, Argentina, Spagna, Inghilterra, Israele, Libano, Portogallo, Canada, Svizzera, Belgio, Hong Kong, Giappone, Bosnia, Etiopia, Cile, Turchia, Ungheria, Iraq, Siria, Pakistan, Nigeria, Vietnam).
Grazie ad un programma di partnership, il progetto ha girato (e girerà sino a fine 2013) per molte città del mondo, raccogliendo ovunque lusinghieri consensi. Con 55 partners internazionali, e 40 curatori coinvolti da tutto il mondo, il progetto ha raggiunto 25 paesi diversi, per un totale di 63 screenings e 448 giorni totali di projezione. Come recita la presentazione del progetto nell’ambito del FONLAD festival, in Portogallo, “Trata-se da maior mostra de vídeo arte do mundo”.
100×100=900 è stato presentato in Argentina, in Cina, in Grecia, in Russia, in Spagna, in Perù, in Iran, in Germania, in Albania, in India, in Francia, in Romania, in Gran Bretagna, in Armenia, in Ungheria, in Brasile, nelle Filippine, in Bulgaria, in Messico, in Canada, in Ucraina, in Portogallo, in Polonia, negli Stati Uniti, ed ovviamente in Italia.
Quì puoi visionare alcune preview dei video selezionati:
http://www.9hundred.org/preview.htm
http://www.magmart.it
http://www.9hundred.org
autore: Enrico Tomaselli