autore: Vittorio Lannutti
La prima volta in Italia dei Mission Of Burma è stato un appuntamento imprescindibile per ogni indi-rocker che si rispetti.
In poco più di settanta minuti il trio bostoniano ha sfoderato tutto lo scibile in ambito punk e derivati con l’autorevolezza da cinquant’anni, età che non deve dimostrare niente a nessuno, e con la genuinità di chi conserva con orgoglio e consapevolezza l’indole punk nonostante i capelli brizzolati o quasi scomparsi.
Gli unici nei di una serata stupenda, e che rimarrà nella memoria di chi c’era, sono stati lo scarso pubblico presente, meno di duecento spettatori, e alcuni problemi tecnici che hanno creato non pochi problemi al quarto uomo del trio, quel Bob Wetson che li segue stando sia al banco mixer del live che a quello in studio.
Weston, infatti, per la prima mezz’ora del concerto esce diverse volte dal suo guscio infilandosi tra il pubblico per constatare la resa sonora del concerto.
Reduci dall’All Tomorrow Party di Londra, dove hanno condiviso il palco con Shellac e Thresse Second Kiss, il cui chitarrista Sergio Carlini era tra il pubblico, il trio bostoniano ha eseguito un concerto formidabile.
Sul palco c’erano tre artisti che non hanno dimenticato da dove vengono e che da quando si sono riuniti hanno sfoderato un disco più bello dell’altro, perché hanno recuperato ciò che è nato dopo di loro, grazie a Dio!
E sul palco la mission del trio è proprio quella di voler recuperare i vent’anni nei quali sono stati costretti ad occuparsi di altro. Uno degli aspetti più intriganti è la loro capacità di integrarsi alla perfezione, una sensazione che ho respirato soltanto al concerto dei Fugazi nel 1999 a Roma. Su un feedback di Roger Miller, Conley e Prescott, sanno subito come cambiare il ritmo e sostenerlo, così come quando se ne parte con qualche piccolo assolo e maltratta la chitarra.
È in quei momenti che mi sono reso conto quanto sono stati seminali i Mission Of Burma, perché sugli assoli di Miller si è fatto le ossa un certo J Masics, tanto per fare un nome.
Nell’ora e dieci di concerto il trio ha pescato brani da tutto il loro repertorio, spesso enfatizzando alcuni aspetti noise (2wice) o punk e mettendoci sempre la giusta ed eccitante spinta emotiva, dando spazio anche al loro rodie di esprimersi con la citazione dei tre numeri in “1, 2, 3 party!”.
Del recente “Unsound” (per il sottoscritto l’album dell’anno) utilizzano “Dust devil”, per deliziare il pubblico anche con il p-funk in accelerazione. In ogni caso i brani più apprezzati sono stati quelli punk e hardcore come la travolgente “That’s when I reach for my revolver” o “This is not a photografh”.
Una serata stupenda ed indimenticabile!!!