Attivi dal 1981, con l’esordio discografico “My Life in a Hole in the Ground” (chiaro riferimento al celebre “Life in the Bush of Ghosts” di David Byrne e Brian Eno), gli African Head Charge, gruppo del percussionista Bonjo Iyabinghi Noah, hanno nel tempo mantenuto una produzione costante che ha visto la pubblicazione di ottimi dischi quali “Off the Beaten Track” del 1986, con il suo “linguaggio” e la sua “mentalità“, “Songs of Praise” del 1990, con il suo “ordine”, la sua “pietà”, la sua “disciplina” e la sua “dignità”, “In Pursuit of Shashamane Land” del 1993, di cui ho amato “Animal Law”…, per la riscoperta di un dub, moderno (per l’epoca), da giungla urbana, intriso di elettronica, di abrasioni e di visioni psichedeliche (il bel “Vision of a Psychedelic Africa” del 2005, con i suoi “pensieri positivi”, ne certifica anche formalmente gli intenti) impiantate su di una solida base ritmica; ciò grazie all’apporto e al supporto del “maestro” Adrian Sherwood.
E così, per l’etichetta di casa On-U Sound, sempre sotto l’egida di Sherwood, gli African Head Charge hanno dato alle stampe “A Trip To Bolgatanga”, un lavoro che va ad arricchire la loro discografia con la consueta “qualità” che li contraddistingue.
Non siamo innanzi a un disco “fondamentale” o a una nuova “intuizione” da svolta per il millennio in corso e forse, a ben sentire, si può anche avvertire una sopraggiunta “pulizia” che rende il tutto più “flat”, ma l’ascolto è comunque piacevole e di “qualità” e una conferma per gli African Head Charge.
Il tempo che giri sul vinile in apertura la “classica” e bella “A Bad Attitude”, con King Ayisoba alla voce e al xalam, che lo scenario, abbandonado ogni “cattiva intenzione” muta nelle elettrificazioni della riuscita “Acra Electronica”.
Se “Push Me Pull You” è tribale rituale, “I Chant Too” riconduce su strade urbane che si perdono nelle percussioni della al contempo ancestrale e futuristica “Asalatua”.
Con “Passing Clouds”, complici anche i fiati e le tastiere, il suono si fa fa più maestoso e “celebrativo” prima che “I’M Winner” lo “asciughi” e lo rendi a tratti “ossessivo” nelle ripetizioni.
“A Trip To Bolgatanga” abbatte i generi innestando fiati “leggeri” e ficcanti e un pianoforte etereo su atmosfere che a tratti evocano la musica tuareg.
Come se testina fosse saltata su di un altro vinile il “viaggio” di “A Trip To Bolgatanga” si interrompe bruscamente sulla “etnica” “Never Regret A Day” in cui torna la voce e lo xalam di King Ayisoba.
Ultima tappa del disco, l’altrettanto riuscita “Microdosing” che avrebbe trovato perfetto compimento con l’aggiunta della chitarra di Bombino per un pezzo che sarebbe diventato da collaborazione memorabile.
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