Un nuovo album dei Deus produce ogni volta un duplice sentimento, quasi una sensazione bipolare che da un lato è possibile riassumere nell’estrema curiosità con la quale ci si avvicina alla band belga , ben consapevoli che Tom Barman & soci sono quelli che ad inizio anni ’90 hanno saputo con
“Worst Case Scenario”, “In a Bar Under the Sea” fino a “Ideal Crash” trovare una via alternativa all’indie-rock di matrice anglosassone, dall’altro lato ciò che si prova è qualcosa di molto vicino alla disillusione – come quando finalmente adolescenti, con sommo sgomento, scopriamo che no, Babbo Natale proprio non esiste – perché anche “Keep You Close”, che arriva a distanza di tre anni dal suo predecessore, con le sue sonorità mature e compatte è un lavoro che appartiene ad un nuovo corso, meno imprevedibile e schizoide di tutta la prima produzione, ben lontano da quell’alt-rock delle origini che tanti piaceri ci ha regalato.
Ma sia ben chiaro, Keep You Close è un album che si colloca comunque una spanna al di sopra di tante produzioni recenti che sempre più spesso vengono accompagnate da fanfare e squilli di trombe come il “nuovo qualcosa”, ma che in realtà non fanno altro che riprodurre in chiave derivativa suoni e idee già ampiamente cotti, mangiati e digeriti.
La classe e la raffinatezza di gran parte dei nove brani sono senza dubbio gli assi portanti su cui si sorregge tutto il lavoro , dalla titletrack, che più di ogni rispolvera certe sonorità cinematiche tipicamente anni ’90 a “Dark Sets In” acidissima e oscura cavalcata rock dove svetta la presenza inconfondibile di Greg Dulli, fino ad arrivare all’intimismo di “The end of Romance“, in cui il quasi parlato di Tom Barman si appoggia delicatamente su un tappeto di archi e chitarre liquide creando un atmosfera intima e notturna.
Tra gli episodi meno riusciti ci sono sicuramente il singolo “Constant Now“, pezzo smaccatamente pop-rock che affoga inesorabilmente in un turbinio di trovate eighties, e “Ghosts“, dove il gruppo di Anversa strizza l’occhio ad un rock da classifica dal ritornello orecchiabile ma per nulla accattivante.
L’album si chiude con “Easy“, il pezzo che forse più di tutti ci riporta nei territori tipici della prima parte della carriera del gruppo, un pezzo dal respiro eclettico, con chitarre affilate, un pianoforte vagamente gotico a far compagnia a melodici sinth e aperture noise come quelle di tanti, troppi anni fa.
“Keep You Close” in definitiva non entrerà mai in quella categoria degli album “capolavoro” né forse in quella degli “indimenticabili”, però un posticino riservato in quella dei “buoni album” sicuramente lo merita e i Deus, nonostante siano da vent’anni sulle scene, restano ancora un gruppo di riferimento assoluto, a differenza di tante altre one-hit band che nel giro di un anno o di una veloce e calda estate svaniscono per sempre, senza riuscire a provare nemmeno il piacere di invecchiare con dignità e rispetto.
dEUS – Keep You Close (2011) by dEUSbe
Autore: Alfonso Posillipo