Consapevole di non poter certo dare un contributo fondamentale alla già corposa letteratura critica sul sound veloce, diretto, adrenalinico, “giovane”, e di non attingere da questo linfa essenziale per la mia stereo-dipendenza, mi occupo di questi 4 giovanotti milanesi , oltre che per assolvere al mio umile “mestiere”, per trovare, da quel “cimento nell’ignoto” che ogni tanto va fatto, qualche spunto di riflessione che non sai di poter esprimere. Facoltà di opinione e dovere di cronaca, a volte, nel coniugarsi, giovano tanto a chi scrive che a chi legge.
“Un’Estate al Freddo” non lascia neanche per un attimo il dubbio di tradire i canoni, gli standard del genere di appartenenza, quell’aggro-punk viscerale che mette d’accordo l’elevata cineticità e la durezza dell’hardcore alla melodia del punk più vicino, geograficamente, alla sponda ovest degli States, fino alla “sbandierata” genuinità emozionale dell’emo. Sul paradigma velocità-divertimento-sudore si sono già spese molte parole (e quanti dischi – ognuno, ma proprio ognuno ha detto la sua). Così come è superfluo introdurre il necessario complemento a detto paradigma, ossia wall-of-sound chitarristici, attitudine sfrenata, vocals moderatamente urlate ma tendenzialmente “abbinate2 alla melodia.
Anche andando per esclusione credo che le abbiamo già sentite: il genere in questione è troppo “allegro” per degli accigliati post-corers in fissa con la claustrofobica “metropolitanità” del sound, troppo sopra le righe per degli indolenti flower-punkers, troppo “moderno” per chi, alla voce “viscerale”, non fa sconti a qualcosa di diverso da Stooges e Radio Birdman, rock’n’roll e spille, garage e sangue.
Il cantato in italiano dei Minnie’s, buona trovata, può essere funzionale nell’affermare una versione nostrana del genere che non veda ridurre la propria dignità artistica a quella di una fotocopia bella & buona. Dopo di che stop. Un critico non vi serve più. Ascoltare e basta. Se piace bene, se no altro disco, altro giro…
Autore: Roberto Villani