Ragazzi che disco!!! Perdonate l’entusiasmo che un “critico” dovrebbe contenere, ma questo disco è stupendo. Si lo so, non si dovrebbe cominciare una recensione con simili elogi, ma è più forte di me, me ne fotto dell’ortodossia e voglio dire a tutti che questo disco è stupendo. È sicuramente il mio disco dell’anno. L’alt. country con cui si esprime il gruppo guidato da Robert Fisher, è talmente emotivamente accattivante e trascinante, che diventa inevitabile premere volte il tasto play, quando finisce la tredicesima ed ultima canzone. Prima di commentare alcuni brani vi do qualche dettaglio tecnico. I Willard Grant Conspiracy sono sempre stati un gruppo aperto, dal vivo, infatti, si esibisce con dieci o con tre elementi, a seconda delle situazioni, fatto sta che per questo (capo)lavoro Fisher ha chiamato l’altro componente storico del gruppo: David Curry, con cui ha composto queste tredici perle. Al duo si sono poi aggiunti Sean O’Brien (il primo chitarrista della band), Pete Weiss (che ha prodotto tre album del gruppo) e Steve Wynn, che ha condiviso il palco più volte con i Willard, e che ha collaborato in studio in diverse occasioni. L’album poi è stato registrato in soli due giorni. La maggior parte dei brani è strutturata con un intro acustico su cui si adagia la voce carismatica di Fisher o quella penetrante di Curry, ed in seguito si aggiunge l’elettrica che sullo sfondo si dilata con un blues crepuscolare da lasciare senza fiato.
Quando poi entrano la viola o la tromba, allora il pezzo si completa. Altra caratteristica di questo disco è lo splendido lavoro che è stato fatto in sede di masterizzazione, dato che gli strumenti non si sovrappongono mai, c’è sempre spazio per tutti, così possiamo deliziarci le orecchie con le armonie delicate di chitarre, mandolini, bassi, organi, ecc. Il cantato di Fisher è sempre pacato e magnetico per la grevità che ricorda inevitabilmente quella di Johnny Cash.
Tra i brani quelli che restano maggiormente impressi nel cuore sono l’evocativa ed introspettiva “Mary of angels”, la dylaniana “Skeleton”, “Painter blue” con i suoi arpeggi delicati, “Vespers” un country-blues che viene dal profondo sud e la lirica “The ocean doesn’t want me”. Queste sono le canzoni che hanno più colpito il sottoscritto, ma sono sicuro che ognuno troverà in ogni brano almeno un particolare emotivamente coinvolgente. La musica se non fa questo a che serve?
Autore: Vittorio Lannutti