Qualche piccolo mal di pancia verrà a chi aveva salutato ai tempi di Real Life Joan As Policewoman (al secolo Joan Wasser) come la promettente nuova regina dell’alternative rock. Lei, che si era sorprendentemente riconfermata in questo ruolo col secondo lavoro To Survive, sembrava votata per questa icona, visto anche il suo rapporto tormentato con Jeff Buckley. Ma con l’album di cover del 2009 a cui è seguito Deep Field del 2011 i più attenti avrebbero già dovuto percepire il cambiamento di rotta.
Questo deciso virare dall’alt-rock verso il soul si completa definitivamente con The Classic, che sin dal titolo sembra voler essere un’affermazione di principi (musicali). La scelta di portare come primo singolo proprio la titletrack, che è la più classic delle canzoni del disco, non può essere un caso: The Classic è una cantata a cappella, con echi vocali doo-woop eseguiti da Joseph Arthur e un beat-box umano di Reggie Watts, famoso comico statunitense.
La gioia e lo spiritualismo soul si percepisce a ogni vibrazione del disco: sia quando si fa musica scoppiettante in stile Motown come in Holy City, Shame o Witness, sia quando si colora di toni tristi e malinconici come in Get Direct, What Would you Do, e soprattutto nella bellissima New Years’ Day. Ovunque la scelta è di mettere in secondo piano le chitarre, destinate soprattutto alla ritmica, e di far venire in prima fila i fiati, gli archi e i cori.
La svolta ha anche il segno di una nuova etichetta, la Play it Again Sam, per la quale la quarantatreenne affascinante newyorkese d’adozione (è cresciuta nel Connecticut) abbandona la Reveal Records sin qui compagna fedele delle sue incisioni.
Bisogna riconoscere a Joan il coraggio del mettersi in discussione, anche se la distanza di questo disco dai precedenti non è poi così elevata: Joan ha sempre portato nella sua musica influenze soul e R&B, e anche lo spiritualismo solare di questo disco (lei stessa afferma di essere nel momento più bello della sua vita e che questo disco ne è la dimostrazione), a ben guardare, non eslcude del tutto alcuni testi duri e sofferti, raccontati e cantati con i suoi consueti modi e diretti.
Certo, Joan è più vicina, anche esteticamente, a Patti Smith che non a Aretha Franklin, e in questo album si perde qualcosa di quel sound così suo originale che mixava soul, funky, e rock, e che ha fatto gridare giustamente al capolavoro per Real Life e To Survive.
Insomma, anche se non si può negare che la sofferenza e la perdita hanno portato in passato questa notevole musicista a scrivere pezzi meravigliosi come Eternal Flame, Save Me, To Be Lonely, To Survive, non possiamo negare a Joan la capacità di scrivere bellissima musica anche dalla gioia. Gioia e energia che, dopo l’esordio del tour a Londra, i fan italiani hanno potuta apprezzare al Bronson, a Ravenna, proprio pochissimi giorni fa, l’11 aprile.
E allora, se è vero che lei si sente oggi “nel miglior posto che abbia mai visto in vita mia”, questo album appena registrato ne è la prova. E si sente.
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autore: Francesco Postiglione