Con il loro carico di tensione ed angoscia insostenibile ma catartica, i Father Murphy sono stasera a Napoli per un concerto nel piccolo tempio della musica live underground qui in città: il Mamamù di via Sedile di Porto.
Federico Zanatta, Chiara Lee e Vittorio Demarin iniziano attorno alla mezzanotte un set estremamente scarno, inquietante, disturbante, una carrellata di affreschi gotici di noise tremendamente teso, che ti entra dentro e ti scombussola, come un’esperienza onirica e religiosa, o comunque mistica, se più vi aggrada.
Rispettati in Italia come all’estero, con 5 dischi all’attivo in circa 11 anni di attività, i trevigiani utilizzano una chitarra elettrica, una batteria ed una tastiera, cantano in inglese e tra una traccia e l’altra del concerto non c’è spazio per applausi, tanta è l’intensità della messinscena, che dura circa 65 minuti, e non si presta a facili paragoni, non solo in Italia, ma neanche all’estero.
In qualche modo i Father Murphy sono tra le cose più estreme in circolazione, malgrado i metallari magari non saranno daccordo, poiché in definitiva questa musica non è così estrema o violenta nella forma; e tuttavia essa ti scuote nel profondo, entrandoti dentro.
Nella loro performance vi sono tracce del noise primordiale dei Sonic Youth anno 1983 e di quello compatto dei Wire, del metal degli oVo, della musica sacra medievale, del blues schizzofrenico dei Red Worm’s Farm e di quello teatrale dei Bachi da Pietra; il concerto di stasera come forse avrete capito non è un’esperienza facile da riportare, soprattutto a chi della band non sa nulla, e nel caso vi consigliamo di andare ad ascoltare qualcosa della band sul loro myspace, almeno come punto di partenza, perchè il live inevitabilmente è un’altra cosa.
La batteria, ad esempio, per i Father Murphy non assolve la funzione di strumento ritmico, che invece spetta alla chitarra elettrica, piuttosto disegna traiettorie piuttosto autonome, in qualche modo jazz; Chiara Lee alla tastiera innalza ipnotici e inquietanti suoni contro cui finiscono per scontrarsi le ritmiche un po’ ossessive della chitarra elettrica di Zanatta.
Bellissima ‘You got Worry’, forse il momento più intenso in assoluto del concerto, che ci cala in un buio contesto sacro medievale carico di superstizioni ma incredibilmente affascinante, mentre tiriamo un attimo il fiato – è un modo di dire – con ‘We Know who our Enemies Are’, che riesce in qualche modo a riconnettersi con l’indie rock americano, da cui, si badi, i Father Murphy sono ad ogni modo abbastanza lontani, perchè davvero originalissimi. Non per tutti, ad ogni modo, e tuttavia colpisce lo scrosciare di applausi calorosi e convinti che raccolgono in conclusione.
Autore: Fausto Turi
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