Da piccolo sognavi di suonare la chitarra come Bill Frisell poi crescendo hai preferito Ben Chasny? Sei diversamente abile nel prendere accordi sospesi o memorizzare le cinque posizioni della pentatonica ma campione assoluto di air-guitar ben oltre l’età consentita?
Se ti ritrovi almeno in un paio di queste definizioni potresti arrivare alla fine dell’ascolto di Goldfoil e desiderare di suonare alla Adriano Viterbini, altro che americani.
Così dopo aver aiutato gli amici del Sadside Project, il chitarrista dei Bud Spencer Blues Explosion ci svela il delta del Tevere in tutto il suo splendore e dopo l’ascolto di Goldfoil sembra davvero che ‘sto fiumaccio non abbia proprio nulla da invidiare al Mississippi.
Un disco per gli amanti della chitarra così come per gli analfabeti delle sei corde, per quelli che arriveranno alla fine dei loro giorni senza avere la minima idea di chi sia tal John Fahey ma che allo stesso tempo godono come ricci ascoltando John Lee Hooker o Ry Cooder. Eggià: le scelte musicali del Viterbini si rivelano azzeccate, senza lasciarsi andare a pirotecnici virtuosismi o a raga infiniti che resti lì e dici ‘ok ..e allora?’.
Una profonda ‘slide’ è la prima cosa che si sente ed un suono ‘slide’ è di per se l’evocazione di un immaginario geo-musicale ad alto potenziale cinematografico: Adriano svela subito i suoi intenti senza menare il can per l’aia. Che sono quelli di ammaliarci, come fa in Kensington Blues di Jack Rose, una delle ultime chitarre acustiche d’America ad avere ancora qualcosa da dire (il folkster americano è morto a soli 38 anni poco più di tre anni fa). La mia preferita è poi Blue Man, avvolta com’è da riverberi impercettibili e da venti desertici che la scuotono come se fosse stoner africano.
L’unico featuring del disco è nella nebulosa e misteriosa traccia New Revolution Of The Innocence crepitante di fenomeni elettrostatici che Adriano Viterbini condivide con Alessandro Cortini, storico musicista nei Nine Inch Nails.
E oltre alla prospettiva tutta nuova del Lago di Castegandolfo, cos’altro potremmo aggiungere che non sia stato ancora detto e che ruota intorno a nomi e concetti fin troppo conosciuti quali Robert Johnson, Blind Willie Johnson e campi di cotone? Forse soltanto roots blues!
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autore: A.Giulio Magliulo