di Carlo Verdone, con Marco Giallini, Micaela Ramazzotti, Pierfrancesco Favino
Del film di Verdone ricordo Marco Giallini. Se ne parla tanto, è lui il vero comico di “Posti in piedi in paradiso”, o meglio il mattatore. Gassmaniano fino all’orlo, anche se limitato dall’epoca in cui lavora, priva di sceneggiatori. Gassman del resto diceva: “La crisi del cinema è la crisi della scrittura”. Anche stavolta la mancanza di una “drammaturgia” pesante si fa sentire, visto che pellicole corali del genere non avendo effetti speciali o pretese d’autore sono legate mani e piedi ad una buona scrittura (in cui si cimentano, con il regista, Maruska Albertazzi e Pasquale Plastino).
Lungometraggio agrodolce e vaporoso, con punte moralistiche, però di gran lunga migliore del nullo “Io loro e Lara” (ottima performance al botteghino, ma chi si ricorda oggi di cosa parlava, chi si ricorda qualche battuta? pochi, pochissimi, nessuno). Alcune trovate sono spassose e i personaggi inquadrano tre tipi plausibili, padri squattrinati gettati sul lastrico dal divorzio. Se solo nei panni di un Favino finto impacciato ci fosse stato un nevrastenico Sergio Castellitto (che ha duettato a ottimi livelli con Verdone in “Stasera a casa di Alice”) sarebbe stata vera battaglia (comica) con Giallini.
Il più moscio, ahinoi, è proprio Carlo, il Carlo nazionale, che riesce ormai a fare solo commediole trapuntate da sketchettini e popolate da donne bidimensionali (ora la Ramazzotti, prima Laura Chiatti, più indietro la Morante). Non perché non siano brave. E’ solo che nessuno le dice, cioè le scrive, cosa fare e dire. La mimica non basta. Confrontate la svampita groupie di Dalla (r.i.p.) Eleonora Giorgi in “Borotalco” (’84) con la cardiologa-Ramazzotti. Ma le dà una pista da qui a Bolzano.
Noialtri verdoniani teniamo duro, anche perché qualche bella risata stavolta ce la siamo fatta (l’incursione in casa dei pensionati con le maschere di paperino: ancora lacrimo).
Telefonatissimo il finale. Perdonate lo spoiler: il papà raggiunge la figlia a Parigi, prima si oppone alla gravidanza, poi la vede biondina piccolina carina francesina e ci ripensa: happy end. Tutta un’altra camminata l’altra trasferta filmica, a Budapest, in “Io e mio sorella”. C’è Verdone che va in farmacia dopo che Ornella Muti gli ha chiesto un pacco di assorbenti. Ne esce dopo venti minuti con le supposte di glicerina. “Ahò, de mejo nun me venuto. Vabbè, ce le teniamo perché possono pure servì”. “Sì, a te”.
Autore: Alessandro Chetta