Alle porte di Vicenza, in zona industriale, c’è un enorme cubo illuminato d’arancio, il Maxlive: art cafè, lounge dinner room, chillout area e chissà quanti altri angoli nascosti all’insegna dell’entertainment. Dopo aver pagato il biglietto ad un prezzo assolutamente nella norma, vi disporrete in fila e al vostro turno prenderete pizzette, biscottini al caffè e al cacao, birra, prosecco o quant’altro desideriate, a costo zero, tutto incluso nel biglietto d’ingresso. Dopo questo momento commovente un cui vi attarderete perché vi rimetterete in fila a più riprese, direte “dai è tardi, andiamo a sentire il concerto” e con i biscottini infilati nelle tasche che scricchiolano correrete verso la sala con la certezza che le prime file sono state già occupate dai fans e da quelli a dieta, e a voi resterà solo quel posticino di fianco alla colonna con lo spilungone che vi impedisce la vista del palco. Solo dopo varcata la sala, capirete che siete nell’incubo americano: milleduecento poltrone amaranto iperriscaldate dalla presenza di millecentocinquanta persone già sedute e da accecanti e impietosi faretti. E’ un’arena, un teatro, un centro congressi! E’ un auditorium ma non ve lo aspettavate. Una cosa che bisogna vederla per capire. Un pò storditi fermate la vostra folle corsa ed attaversate la sala con le guance che ancora sgranocchiano, e guadagnate le file più laterali e più a nord, ancora vuote per voi. Ed immaginerete che per tutto questo ci sarà un prezzo più alto da pagare come seguire prima del concerto una conferenza sul marketing multilevel tipo Amway o sorbirsi dei telepredicatori stile ‘Chuck e Nora’ o Benny Hinn che dal palco urleranno che Gesù è amore e poi toccandovi con un dito vi faranno svenire di colpo, in diretta tv! E invece no, niente di tutto questo, anche se vedere ultraquarantenni e quattordicenni cantare e ancheggiare posseduti allo stesso modo un pò fà l’effetto ‘setta’. Il vero miracolo invece sono i Baustelle (l’ultimo album tra l’altro si chiama anche “Amen”, fate un po’ voi) e questi sono gli effetti che essi provocano sulle masse. Le ragioni possono essere molteplici, dalla palestratissima Rachele occhi azzurri tastiera rossa perizoma nero e che canta – pura poesia – ‘io ti amo e non ti penso mai’ a Francesco Bianconi, che è allo stesso tempo snob e popolare (che non significa radical chic), con i suoi testi arguti e neorealisti e i suoi capelli un pò unti, acclamato quando propone una sua versione acustica di ‘Bruci la Città’ che ha scritto per Irene Grandi ma anche quando canta ‘Il liberismo ha i giorni contati’ in cui è stato capace di infilare un termine quale ‘autoconsunzione’ in una pop song italiana, o un brano come ‘Baudelaire’ che fa saltare tutti dalle poltroncine, che ha una tamarra coda italo-dance ma in cui cita con rime baciate Pasolini e Piero Ciampi ‘che vive in mezzo ai campi’. Chiunque altro sul palco in quel preciso frangente avrebbe restituito una brutta immagine di sè, ma la dimensione Baustelle riesce ineffabilmente a confondere i limiti tra il banale e l’intrigante, essendo tutti i loro brani affetti da un grandissimo appeal commerciale che fa sorgere dubbi tipo ‘sono da Sanremo’ o sono l’esatta negazione di quel modello? Charlie può prendere matitate dai preti e farsi di MDMA a reti unificate e in prima serata? Non saprei, la gente sembra volerne di più sebbene loro sciorinino nomi e nomi la cui maggioranza di presenti neanche conosce, da Cassavetes a Rohmer a Lee Hazelwood. Ma citano anche gli stranieri di Corso Como ed il piccolo Alfredino finito nel pozzo di Vermicino, per chi ha gli anni per ricordare. Non è un problema; l’elegante frullatore Baustelle cattura e centrifuga fatti, persone e ricordi senza bisogno di campare troppo di rendita con materiale famoso dai dischi precedenti, perchè può permetterselo. Alla fine soltanto mi accorgo di un bel teschione lì sul palco davanti ai pedali di Claudio Brasini, e non so perché sia lì e cosa voglia intendere Baustelle con quel simbolo, forse che l’indie è morto.
Autore: A.Giulio Magliulo
www.baustelle.it