Capace ormai di tenere a bada funambolismi chitarristici e divertissement sull’acustica che agli inizi contribuirono non poco a farla conoscere – particolarmente con il furbetto videoclip di Playing with Pink Noise (guardalo quì) nel 2004 – Kaki King oggi non è più interessata a divenire una reginetta indie compromettendo le proprie composizioni per renderle digeribili ad adolescenti non si capisce mai fino a che punto magari attratti più dal suo aspetto, e volge la propria attenzione a ciò che più di tutto, sin dall’esordio del 2003, ha rappresentato la sua vocazione principale: una molto personale esplorazione tutta strumentale tra sperimentazione ambientale, folk psichedelico, armonici, ipnotici arpeggi di settima e scuri paesaggi new age, incentrata sulla chitarra acustica inserita tuttavia sempre più e sempre meglio, nel corso degli anni, in un dipinto polistrumentistico ampio, complesso e suggestivo, che la nostra ha imparato a mettere su carta.
Tralasciando la sua figura abbastanza glamour in copertina – per quanto lo sfondo fluorescente alle sue spalle sul cielo stellato sia in qualche modo ben centrato sulle sensazioni misteriosissime, spirituali e psichedeliche della musica… – Glow si pone come opera piuttosto complessa, omogenea ma non statica come altri dischi passati della musicista di Atlanta, totalmente celebrale ma anche abbastanza digeribile, con 12 brani che variano abbastanza anche le sonorità.
‘Great Round Burn‘ è brano che lega musica antica, esaltante atmosfera kashmiriana e folk britannico con un solido e sfarzoso muro di violini, ‘Streetlight in the Egg‘ propone il più classico fingerstyle acustico di Kaki King, sistematicamente trattenuto in circolari percorsi a testa bassa, con l’emozione coltivata e poi raccolta tutta insieme, mentre ‘Bowen Island‘ è un’introspezione new age incisa con un sitar o più probabilmente con un’effettistica di quel tipo, dal caratteristico riverbero gonfio di nostalgia e spiritualità: ancora dunque personali patchwork di timbriche etniche a contrastare arpeggi metronomici ed accademici, per una musicista che iniziò esibendosi nelle metropolitane di New York.
‘The Fire Eater‘ prosegue l’approfondimento folk con un’aria tzigana in cui l’incalzante chitarra viene contrappuntata da un delirio violinistico che trascina verso un crescendo da fantasia/ouverture, mentre prima di evolvere in una sbilenca ritmica fusion, è il lontano, monotono rumore della pioggia a fare da sfondo in ‘Cargo Cult‘, mentre un’altra ritmica particolare, dal sapore urbano contrappunta la trasfigurazione bossa jazz intitolata ‘Kelvinator, Kelvinator‘, che svolge anche la funzione di alleggerire l’ascolto del disco. ‘Holding the Severed Self’ è uno strumentale new age incalzante e virtuoso stile Michael Hedges, mentre ‘Fences‘, eseguita alla 12 corde, riprende i misconosciuti tre strumentali per la colonna sonora del film Into the Wild di Sean Penn che Kaki King curò sebbene furono solo i brani di Eddie Vedder a confluire poi nella soundtrack ufficiale, e ‘King Pizel‘ torna sul folklore, con una giga nordica trasfigurata in asciutti suoni metallici moderni: ancora un momento di alleggerimento del lavoro.
Glow segna un importante momento creativo dunque per questa musicista che segue un percorso creativo autonomo ed ha trovato un equilibrio preciso, magari non facile ed orientato al grande pubblico ma dai contenuti davvero poco discutibili.
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autore: Fausto Turi