Strano personaggio, James Murphy: a leggere tra le righe della sua carriera, ha sfondato praticamente tutti i parametri del suono, dal metal (Extremis) al proto-punk, e col progetto DFA – in coppia con l’altrettanto nichilista Tim Goldsworth – ha creato le basi per il progetto LCD Soundsystem, a cominciare da quel “Losing my edge” che apre la seconda facciata di questo album straordinario.
Un volto qualunque, apparentemente, ma in realtà uno dei più affascinanti creatori sonici del nostro tempo. L’album – doppio e venduto a prezzo ridotto – ribadisce come in un luna park enciclopedico summe e tendenze musicali del passato e presente, distinguendo esattamente nel futuro l’unica linea possibile per agire in controtendenza: non nell’innovazione, ma nella capacità di personalizzare il deja vu. La grandezza di quest’album, al di là dei puri integralismi per-sonali (io stesso non sono esattamente un patito dei synth e dei ravers) è tutta nella fusione che l’opera di Murphy riesce mirabilmente a creare: testi che sfiorano l’ironia protorivoluzionaria della dance (connection/comunication per esempio) atti tuttavia a sancire l’abulimica necessità di mille derive di un sound (system). Da Sly Stone a David Byrne, da Sun Ra a James Chance, dai Pil di “metal box” ai Daft Punk, dai Kraftwerk ai Can, da Eno alla League of Crafty Guitarists, da tutto il techno pop degli anni ottanta all’ultima tendenza funk newyorkese e non (Rapture et similia).
L’obiettivo di Lcd SoundSystem rappresenta in definitiva una tappa fondamentale, un’escamotage in più, rispetto alla fossilizzazione monolitica del suono sintetico. Già “Daft punk is playing at my house” sortisce questo effetto, mentre “Too much love” ci ricorda quanto necessario fosse “Houses in motion” dei Talking Heads in collaborazione con Brian Eno. Il Loop di “On repeat” recupera i fasti della techno wave anni ottanta, mentre Murphy non disdegna il kitsch nella prosopopea elettronica di “Tribulations” (un vero e proprio vintage europeo di vent’anni or sono) e nell’eterea “Never as tired when l’m waking up”: chi sono i Beatles orchestrali di “Rubber soul”?
Gli Electric Light Orchestra? i 10 cc. dei tempi d’oro? Ma non aspettatevi coerenza stilistica da Mr. Murphy perchè non ce n’è bisogno: si ricorda del suo passato noise, con “Disco infiltrator” e arriva al delirio sonico di “Tired” che sembra un gruppo Skin Graft prodotto da David Thomas. Non manca nessuno alla festa: Ian Dury aleggia nel gustoso funk urbano di “Yeah”, i Thievery Corporation sposano i ritmi convulsi del jungle di “Beat connection”.
Ma, intendiamoci, non siamo di fronte a un progetto che deve alle sue fonti più del dovuto, giacchè la personalità di Murphy riesce sempre a spiazzare anche negli episodi meno convincenti, come la già citata “Tribulations”.
Un nuovo ponte per il futuro, ambizioso ma prodotto con l’umiltà cronologica di tante infinite storie, come se in ogni sonorità noi trovassimo alla fine un’unico, plausibile, punto di partenza. O di non-ritorno?
Autore: Luca D’Antiga