autore: A. Giulio Magliulo
All’ascolto di Shallow Depths si resta fin da subito colpiti dalla mancanza di sbavature e di approssimazioni, nessun errore, chessò..una chitarra un po’ scordata, un’inflessione nella voce ed invece niente di tutto questo: un prodotto che potrebbe essere ‘formalmente’ adatto ad un mercato mainstream. Se il mondo fosse un posto migliore, ovviamente.
Tutto questo è dovuto alle esperienze ultradecennali dei vari membri dei romani Dirtyfake nonché ad una conoscenza enciclopedica della musica alternativa, indie, underground o come volete chiamarla che i ragazzi dimostrano di avere. O almeno questo intuisco io, ascoltando quest’e.p. in cui le suggestioni ed i rimandi ad alcune bands importanti si alternano in modo forsennato ed imprevedibile, dai Violent Femmes a Peter Murphy, dagli Smiths ai Gun Club, tutti però citati in maniera molto personale, con grande classe e all’interno di composizioni complesse ma estremamente godibili.
Nondimeno ho anche assaporato quel dolciastro di fondo che proviene da una certa grandeur che affligge gente come Placebo o Muse. O Radiohead. O se vogliamo esser più chiari senza tirare in ballo altri nomi, c’è una sensazione di aristocratica decadenza che serpeggia tra le canzoni dei Dirtyfake che magari è il mezzo più adatto per ‘cantare’ la decadenza che c’è fuori ma che ha come effetto collaterale quello di farli apparire come dei dandies un po’ snob. Il che – artisticamente parlando – non è sempre un difetto.
In conclusione i Dirtyfake sono molto bravi, maturi rispetto alla media delle tante proposte ‘indie’ che ci piovono addosso tutti i giorni e per questo – come dicevo all’inizio – non sembrano neanche appartenere al pianeta indie, forse non lo vogliono neanche loro o forse non si pongono affatto il problema.
Shallow Depths è uno tra i prodotti italiani più validi di quest’anno, da ascoltare spesso ed i Dirtyfake un gruppo da seguire anche per capire dove andranno a parare, ma fino a quel momento non mi fiderò troppo di loro.