Arriva anche per Meg il momento del salto nel vuoto.
Il primo disco solista, quello col tuo nome in copertina e niente più, quello in cui non c’è il gruppo-madre (in questo caso i 99 Posse, per i più distratti) a fare da “rete di protezione”, a ripartire con te – in parti uguali – critiche e responsabilità.
Un disco, in questo caso, che per quant’è complesso, vario e intricato, fa intravedere una lunga gestazione, un fine lavoro di cesello, eseguito “with a little help from her friends” (in particolare Carlo U. Rossi e Marco Messina), i cui frutti sono canzoni sorprendenti, affascinanti, ricche di infinite sfumature e mirabilmente in bilico tra appeal radiofonico e ricerca sonora, tra tradizione e contemporaneità.
In “Simbiosi”, il primo singolo estratto dall’album, convivono l’electro-pop impalpabile della Goldfrapp di “Felt Mountains” e la tradizione “leggera” italiana, proiettando l’ascoltatore in un curioso universo sonoro che ha il profumo “antico” delle canzoni che ascoltavano le nostre mamme, e che pure suona moderno, assolutamente attuale.
Napoli e i suoi paradossi si ritrovano in “Puzzle”, tra favola e realtà, metafore e sensazioni contrastanti (“contemporaneamente vorrei partire e restare”). L’incedere ossessivo, l’incombere – ad un certo punto – degli archi e dei fiati, riproduce alla perfezione la vertigine mentale che si prova nel camminare per le strade “di questo folle posto”, con la testa che gira per la bellezza quanto per il caos, per il mistero e per il senso d’oppressione causato dalla calca che quasi fa esplodere le vene della città.
“Parole” è una malinconica ballata post-moderna: melodie senza tempo ed estetica elettronica; pochi, struggenti accordi di chitarra e fredde pulsazioni sintetiche.
E’ forte l’effetto di straniamento nell’ascoltare la bella “Audioricordi”: è come ritrovare Luigi Tenco impegnato in un’improbabile jam session con i Múm, con gli orchestrali impettiti che seguono i loro spartiti strabuzzando gli occhi per quegli strani rumorini in sottofondo.
Un raggio di luce illumina il disco quando s’arriva alla traccia sette. La bossa-nova della cover di “Senza Paura” (l’originale era firmata da Toquinho), con il papà di Meg alle percussioni e ospiti d’eccezione come Elio e parte delle Storie Tese, dona un attimo di piacevole spensieratezza.
Nelle raffinate tessiture di jazz notturno di “Invisible ink” s’affaccia lo spettro di Billie Holiday, mentre “Regno d’acqua” si nutre dei suoni concreti d’acqua e conchiglie delle spiagge della Grecia, ed è una splendida ninnananna cullata dalle onde e accarezzata dal sole.
Autore: Daniele Lama