Ci sono svariati buoni motivi per celebrare l’uscita di questo disco. Intanto perché si tratta di un piacevole “corto circuito”, essendo la Lain – l’etichetta che pubblica l’album – una delle più stimolanti casi editrici del panorama contemporaneo italiano. E poi perché “Treasure Island” segna il ritorno discografico di una leggenda minore del rock’n’roll come Nikki Sudden. Giramondo instancabile, sperimentatore a fine anni ’70 con gli Swell Maps, quindi rocker perdente e nostalgico, legato indissolubilmente all’estetica r’n’r degli anni ‘60/’70 (gli Stones, Dylan, T. Rex e Faces i suoi numi tutelari), in venticinque anni di carriera Sudden ha lasciato tracce preziose nel suo percorso artistico da solista o con i Jacobites, progetto realizzato in compagnia di un’altra leggenda minore come Dave Kusworth.
Adesso, dopo che la sua opera ha visto una recente rivalutazione da parte della canadese Secretely Canadian che ne ha ristampato i lavori (con opportuna rimasterizzazione e aggiunta di bonus-tracks), il ‘loser’ inglese – ma di stanza a Berlino – segna un punto importante nella propria discografia. Non fosse altro perché corona il sogno di suonare accanto a due suoi miti (Mick Taylor dei Rolling Stones e Ian McLagan dei Faces) e ad alcuni amici (tra cui Anthony Thistlewaite dei Waterboys), realizzando un album che è un appassionato atto d’amore nei confronti di una fertile stagione musicale: il periodo a cavallo tra Sessanta e Settanta. Sotto questo profilo in “Treasure Island” mancano quasi del tutto quelle atmosfere oblique e fragili che hanno a lungo caratterizzato la cifra stilistica di Nikki Sudden – e questo è forse l’unico appunto che si può muovere al disco, assieme ad una certa prolissità – essendo tutto l’album indirizzato a far rivivere un suono, un’atmosfera, un’emozione: quella del rock d’antan. E in questo l’artista inglese è abilissimo: con il supporto di musicisti di prim’ordine, che contribuiscono anche ad arrangiamenti raffinati, Sudden tesse trame da pub-rock (“Looking For A Friend”), mette in mostra pezzi solari “Fall Any Further”) o quasi gospel (“When The Lord”) con tanto di cori femminili, fa il verso agli Stones di “Exile On Main Street” (“Kitchen Blues” e “Wooden Floor”), intinge la penna in aromi country (“Break Up”) e realizza brani rock corposi e visionari (la splendida “House Of Cards”, per chi scrive il brano più riuscito dell’intera raccolta), realizzando il suo album più classico e devotamente ispirato alla tradizione.
Autore: Roberto Calabrò