In poco meno di trent’anni di attività gli Anatrofobia sono stati, discograficamente, parchi e quello in questione è solo il settimo disco. Con questo lavoro mettono un nuovo punto contribuendo ancora una volta a riscrivere i parametri dell’improvvisazione sonora. A dare man forte ai membri storici Luca Cartolari ed Andrea Biondello troviamo Cristina Trotto Gatta (già in Masche) e Paolo Cantù (Makhno ed A Short Apnea). Con “Canto fermo” la band conferma la caratteristica di essere difficilmente etichettabile e di essere in grado di suonare più generi. Sempre in maniera puntuale passano dal post-punk deviato, per niente ortodosso, a influenze jazz. Tuttavia la sperimentazione e l’improvvisazione restano il loro marchio di fabbrica. Il disco parte con la minimale “Keeping things whole” con una batteria jazz in lieve rincorsa rispetto agli altri strumenti. Nella title-track è resa molto bene la “tensione” che viene trasmessa attraverso una sensazione castrante, in pratica il brano sembra voler esplodere ma poi non succede. La situazione non muta più di tanto nell’intensità crescente di “Nero di seppia”, mentre “Details” sembra un omaggio ai Sonic Youth più psichedelici con Kim Gordon alla voce. Con “Mille” il quartetto si adagia su sonorità quasi prog e con “Alice wonders” si lascia andare a spezzettamenti improvvisati carichi di pathos.
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autore: Vittorio Lannutti