‘Così lontano, così vicino’. Il titolo del film di Wenders come metafora degli anni ’90 calza benissimo: appena ieri nella successione del tempo lineare, così distanti nella memoria musicale. L’oggi del rock, ridefinendo le sue coordinate, ha provocato forti ondate di revivalismo; sempre più gruppi ispirati agli anni ottanta, cioè al post-punk e, anche per mezzo dell’elettronica imperante, alla new-wave. Se questo è il trend, facile immaginare che the ‘next big thing’ sarà il remake degli anni novanta. Tornando invece agli originali, a differenza dei Dinosaur Jr. i Therapy non sono mai stati storicamente così grandi, ma una funzione l’hanno avuta oltre a una piccola fetta di gloria. Oggi i Therapy sono quello che nessun amante del rock vorrebbe che una band diventasse, cioè un gruppo con qualche buona canzonetta per una scaletta pop-punk e new metal.
Ma la missione degli irlandesi per stasera è mandare al diavolo la nostalgia e divertirci. La paura che privilegiassero le ultime produzioni è stata fugata dal loro attingere a piene mani da tutta la loro discografia e quindi la ragione del nostro esser qui è stata ampiamente soddisfatta: ascoltare quanti più brani possibile dai primi due albums Nurse e Troublegum. La funzione riconosciuta ai Therapy tre lustri fa è stata quella di raccordare il pop, il punk e il metal in maniera definita e su vasta scala, restituire cioè l’impatto di un suono molto tagliente e potente ma legato all’altra metà dell’indie-rock, quella melodica, e negli stessi anni in cui gli stessi ingredienti venivano impastati in maniera più impulsiva anche dall’altra parte dell’oceano, dal grunge. E non solo i Therapy in Albione lottavano per questa causa, c’erano anche i conosciutissimi God Machine e i mai riconosciuti Milk (quelli da Camden però!). Ecco le premesse da cui nascevano i Therapy, artefici di brani che restavano scolpiti nella mente per quei riffoni importati da altre aree e a conferma delle buone intenzioni almeno iniziali della band di Andy ci sono le cover classiche della band, ‘Isolation’ dei Joy Division e ‘Diane’ degli Husker Du che stasera han reso in maniera impeccabile, la prima arricchita dell’inserto di un’altra perla degli oscuri signori di Manchester, ‘She’s Lost Control’, e la seconda lentissima e onirica, solo voce e chitarra suonata con l’archetto (mi piace pensare che a Grant Hart sarebbe piaciuta). All’inizio sono i brani più o meno recenti come ‘Hey Satan’ e ‘Stand in Line’ ad essere presentati, poi una ‘Die Laughing’ che comincia a riscaldare un pubblico inizialmente un po’ freddino. Si continua con altri brani nuovi fino a ‘Stories’ dal terzo album Infernal Love che scatena finalmente il movimento. E via così, tra tiepide esecuzioni poco apprezzate e momenti forti come le sequenze da Toublegum accolte con bell’entusiasmo,
soprattutto quella ‘Nowhere’/’Stop It You re killing Me’/’Knives’. Nei bis le cover dei Joy Division e gran finale dal primo album, ‘Teethgrinder’, a riconoscere che quella è stata la loro forza. Meglio dimenticare invece le pose pseudometal che non c’entrano nulla con loro e l’ingenua ruffianeria dell’Andy che ringrazia Roma duecento volte; tutto ciò non serve più, i vostri dischi non li compriamo più da anni, ma per una serata così una pagnotta ve la passiamo volentieri.
A.Giulio Magliulo
Autore: A.Giulio Magliulo