Gli Slowdive, band fondamentale della scena rock indipendente inglese e del movimento shoegaze, fondata nel 1989 intorno a Neil Halstead (chitarra e voce), Rachel Goswell (chitarra e voce), Christian Savill (chitarra), Simon Scott (batteria) e Nick Chaplin (basso) (tuttora la composizione attuale), sono tornati nel 2014, dopo essersi sciolti nel ’95, e dunque dopo ben 20 anni di inattività. Da allora, solo un disco, Slowdive del 2017, fino a oggi, con il nuovissimo Everything is Alive, per etichetta Dead Oceans, album lanciato dal singolo Kisses, il cui video ci interessa direttamente, perché è stato girato dal regista Noel Paul in una Napoli segreta, immaginifica e da cartolina (amanti dell’Italia meridionale, gli Slowdive hanno peraltro presentato in anteprima il nuovo album al pubblico italiano l’11 Agosto, come headliner dell’Ypsigrock Festival in Sicilia).
Nel video di Kisses un gruppo di giovani attori guida in motorino dando passaggi ad amici ed estranei. Il regista Noel Paul racconta: “Se il video evoca emozioni è grazie all’eccellente cast scelto. In particolare Charlie e Claudia, le due bellissime e coraggiose anime protagoniste del video”.
Il titolo del quinto album dei grandi interpreti della seconda fase del movimento shoegaze registra la volontà della band verso un nuovo inizio. Everything is alive è il lavoro di una band ormai classica proiettata verso un radioso futuro, ma con ben chiare in testa le proprie radici: del resto l’album, come evocato dal titolo, è dedicato alla madre di Rachel Goswell e al padre di Simon Scott, entrambi deceduti nel 2020.
Le session di lavoro sono iniziate con Neil Halstead nel ruolo di principale compositore e produttore, con l’idea di farne un album più minimale ed elettronico di quanto fatto in passato. Ma poi con i componenti della band riuniti in studio qualcosa è cambiato e il disco è diventato più potente, tornando a suonare con le classiche melodie degli Slowdive, perché come Neil Halstead e Rachel Goswell affermano: “Gli Slowdive sono la somma delle sue parti … e succede qualcosa difficile da spiegare quando noi cinque ci ritroviamo in studio”.
Registrato tra l’inverno del 2020 e l’inizio del 2022 con Shawn Everett (The War On Drugs, Alvvays, SZA) al missaggio di sei degli otto brani del nuovo album, il disco contiene un perfetto mix di pezzi più post-rock (di cui del resto lo shoegaze è un sottoinsieme) e pezzi più new wave, che non a caso sono quelli più cantati.
Shanty, per esempio, che introduce il disco, è un perfetto brano post-rock e dream-pop, come del resto la seconda traccia, Prayer Remembered, puramente strumentale. Entrambe, come da dogma shoegaze, piene di riverberi, distorsioni e di drone. Alife e Kisses invece sono molto new wave, ricordando i Cure e tutta la new wave dei primi anni ’80. Mentre in mezzo a questi due brani c’è una splendida, e lunghissima, Andalusia Plays, forse il pezzo più bello del disco, anche questo pieno di riff riverberati e atmosfere suggestive, ma più asciutto e semplice, quasi acustico. Fino a qui, prima metà esatta, il disco è un autentico capolavoro del suo genere. Kisses introduce vivacità e ritmo, ma forse perde di splendore evocativo, guardando troppo al passato. Si recupera in intensità con Skin in the Game, di nuovo post-rock, mentre Chained to a cloud appare forse un po’ troppo cerebrale e fredda.
The Slab chiude infine il disco di nuovo tornando al new wave, suggellando quell’equilibrio fra le due ispirazioni che costituisce la chiave di volta per la genesi e la produzione di questo disco, che è quanto di meglio i fan degli Slowdive e più in generale del movimento shoegaze e post-rock potevano aspettarsi. Le canzoni sono ancorate alla tradizione della band, ma appaiono fresche, energiche, vitali, nuove, come non mai. Se vent’anni sono stati forse troppi per i fan, dobbiamo però dire che hanno fatto benissimo alla band, ravvivandola e portandole nuova luce vivida, precisamente quel vivido evocato nel titolo del disco che è quantomai profetico per l’ascolto, che diviene una esperienza assoluta e imperdibile.
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