Il secondo disco del sestetto romano è frutto di un attento lavoro di Emanuele Colandrea (voce/chitarra) sui testi delle canzoni, con velleità poetiche e al contempo farsesche e giocose.
Missione compiuta, almeno da questo punto di vista, quando si riescono a ricostruire atmosfere – Fellini, Paolo Conte – d’altri tempi: i portici d’estate, la vecchia carrozza, il cappello a cilindro, e poi piazze, strade, terrazze, imposte, grondaie, sampietrini e vicoli “dove tutto fa rumore”, dialetti, sagre estive e vino in quantità, gli amori “acchiappati dietro l’angolo”, i santi protettori e le bande musicali…: l’Italia nascosta, insomma!
Lavorano di quantità gli ottoni e i fiati tutti, mentre lavora di qualità il pianoforte di Matteo Scannicchio nel creare musiche decisamente prevedibili al rimorchio di Bandabardò, Rino Gaetano, Perturbazione.
Cari Cappello a Cilindro: le immagini poetiche messe in musica possono essere una goduria, ma attenti a non divenire stucchevoli; non vorrei che la vostra ossessione per l’incanto divenisse una prigione per la vostra musica; la gente che vi ascolta vuole anche ballare, e persino Paolo Conte, quando non è in vena, è talmente noioso…
In ultima analisi, malgrado i pochi margini di crescita, gruppo dalle discrete potenzialità commerciali, probabilmente alla ricerca di una etichetta major che possa lanciarli a dovere; nella piatta desolazione di un Festival di Sanremo, saprebbero comunque mettersi in evidenza.
Autore: Fausto Turi