Si intitola The Weight of Your Love il nuovo degli Editors, ed è anche uno dei dischi più attesi del 2013 dal popolo della new new wave. Ed è a quanto pare veramente un peso per Tom Smith l’amore, se in queste 11 canzoni si parla spesso di pene e fatiche d’amore, con frasi tipo “cos’è questa cosa chiamata amore di cui parli, noi ne siamo fuori”, oppure “mi spezza il cuore amarti”. Lo stesso Tom ammette che i testi parlano d’amore (fatto piuttosto inconsueto per la band) “ma non aderiscono allo stereotipo della love song tradizionale”.
Il quarto lavoro in studio degli Editors portava con sé aspettative incredibili (i precedenti An End Has a Start, 2007, e In This Light And on This Evening, 2009, sono entrati al n°1 in classifica in UK, e il loro album di debutto The Back Room, 2005 ha venduto più di 500.000 copie in UK), di quelle che si deve risalire al dopo War degli U2 nel lontano 1983 per avere un adeguato parallelo. Parallelo che non è chiamato a caso, visto che gli Editors sono stati fin qui senza dubbio la band che più di tutte era candidata a essere i nuovi U2 del “rock epico” del nuovo millennio, al di là degli erronei accostamenti più volte fatti al post-punk dei Joy Division, dovuti soltanto alla similarità della voce di Tom Smith con Ian Curtis.
Gli Editors, invece, sono new new wave, come detto, e rock-pop positivo, anche se mai come in quest’album rock positivo venato di malinconia e di tristezza. E mai come in quest’album i londinesi, orfani di Chris Urbanowitz, e in nuova formazione a cinque con Elliot Williams alle tastiere e Justin Lockey alle chitarre ad accompagnare i veterani Tom Smith, Russell Leetch, e Ed Lay, danno fondo a tutta la loro vena romantica.
Aspettative altissime, dunque, che non del tutto questo disco riesce a colmare, diciamolo subito. Il singolo di lancio, A Ton of Love, uscito a maggio, sembrava confermare tutto il positivo che ci si aspettava dagli Editors, chiamati alla prova di recuperare i fan perplessi dopo In This Light and in This Evening, l’album in cui avevano mollato le chitarre per darsi a sinth e campionature, stile Depeche Mode e primi Simple Minds. A Ton of Love comincia alla grande con un riff travolgente di chitarra e con la voce di Tom che va subito in acuto mentre un ritmo serrato e una grancassa lobotomica ti fa saltare dopo 30 secondi.
Ma una vecchia regola del recensore dice che se il primo singolo è il pezzo più bello dell’album, allora c’è qualcosa che non va. E qui si dà il caso. Pezzi dinamici, energici, travolgenti, esaltanti, rullanti come A Ton of Love, che non ha nulla da invidiare ai classici degli Editors come Smokers outside the Hospital Doors, Racing Rats, Bullets, Munich, Fingers in the Machine, nell’album non se ne trovano altri.
C’è, tuttavia, una maggiore complessità, uno spessore più profondo, con pezzi meno immediati e più strutturati, con meno energia di chitarra ma riff più suadenti o più intricati, come nel pezzo d’esordio The Weight, che inizia con un intro altisonante che ricorda Airbag dei Radiohead. O come in Sugar, sicuramente l’altro brano più bello, con un andamento vagamente esotico che ricorda da lontano la Kashmere di zeppeliniana memoria, o in Formaldehyde, ottimo candidato a essere secondo singolo, ben ritmato, triste e contemporaneamente dinamico come solo i pezzi degli Editors migliori sanno essere. Il brano centrale intorno al quale ruota tutto il resto a detta di Tom ed Ed è Nothing (prodotto da Clint Mansell), sicuramente dotato di un testo di spessore, ma ritmicamente e musicalmente non così incisivo da poter farci trovare d’accordo con la band, visto che è tutto voce e violini, e certamente non è un pezzo rock ma al limite pop raffinato alla Elton John nella sua versione ballad.
Così come non del tutto all’altezza sono What is this Thing Called Love, e Honesty, altre due ballate: la prima, il pezzo più romantico, vede un inedito Tom Smith cantare in falsetto, e interpretare alla grande un pezzo che se non fosse per il suo canto e per un grande finale potrebbe anche ricordare qualcosa di ben riuscito di una dotata boy band, mentre Honesty francamente non va al di là di un discreto pezzo pop (sempre voce di Tom a parte, ma non lo ripeteremo ogni volta).
A rilanciare l’album dopo la pausa di tre pezzi di fila dal ritmo sicuramente non rock c’è Hyena, che non solo nel testo ma anche nella sua dinamica musicale e nei riff ricorda roba dei R.E.M., band a cui gli Editors si sono sempre per loro stessa ammissione ispirati. E poi di seguito Two Hearted Spider, malinconica ma decisamente rock, con un ottima linea di arpeggi e armoniche di chitarra. Poi ancora The Phone Book, una ballata semi-acustica in stile semi-folk che conquista e colpisce pur essendo troppo breve, e un finale poi non del tutto all’altezza con Bird of Prey, che di nuovo rallenta i ritmi.
Insomma, l’album è bello, forte, triste, denso al punto giusto per essere un passo avanti rispetto al precedente, ma difetta di energia, di grinta, e chiaramente della chitarra di Urbanowitz, che nei primi due album aveva creato il sound Editors, cosa che già in sé stessa aveva fatto gridare al miracolo: un gruppo che a inizio millennio, quando tutto sembrava già detto nel mondo del rock, aveva addirittura lanciato un suo sound, inconfondibile e marcato. Ebbene, di questo sound è rimasta, a parte Ton of Love, Formaldehyde, Hyena, Sugar, Two Hearted Spider, solo la voce di Smith, (che addirittura raggiunge maggiore estensione e potere vocale).
Si può insomma concordare con quanto lo stesso Tom dice a proposito di quest’album, registrato in presa diretta, dal vivo in studio, a Nashville ai Blackbird Studio con il produttore Jacquire King (Tom Waits, Norah Jones, Of Monsters And Men, Kings Of Leon) e mixato da Craig Silvey (Arctic Monkeys, The Horrors, Arcade Fire, Bon Iver): un album “quasi inafferrabile”. Enigmatico e ipnotico, aggiungeremmo noi, perché ad ogni ascolto dà qualcosa in più ma ti lascia un tantino inappagato ancora, come se potesse e dovesse ancora dare.
La riconferma di cui i fan avevano bisogno da The Weight of Your Love arriva senza dubbio, ma non è così eclatante ed esplosiva come forse si era potuto pensare dalle anticipazioni.
L’esplosione del suono Editors arriverà, questo è probabile, dagli show dal vivo, in cui i cinque londinesi potranno essere ammirati in alcuni dei festival europei più importanti: saranno headliners al Werchter Festival (Belgio), al Lowlands in Olanda e co-headliners in 25 altri festival. Non mancheranno al presitgioso Glastonbury Festival, e ci saranno anche al T In The Park, Reading e Leeds.
Chi ha seguito i live degli Editors in questi anni, anche in Italia, sa che dal vivo la band non sbaglia, e porta una carica veramente unica, che non si vedeva da tempi lontani: in più, la giusta selezione dei nuovi brani accompagnata dai classici e qualche inedito già stranoto come chicca consentirà al live di essere deflagrante. Peccato che l’occasione di vederli a Villafranca al Perfect Day Festival è sfumata per annullamento dell’happening. Sarebbe stata una location fantastica, e per ora i fan possono puntare solo sul concerto previsto l’11 Agosto all’Ypsigrock Festival di Castelbuono (Pa) e una data autunnale prevista il 10 Ottobre a Milano.
Lasciamoci per il momento “soffocare dal peso” di questo nuovo, comunque intrigante e affascinante, disco.
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autore: Francesco Postiglione
Tracklist: 1. The Weight 2. Sugar 3. A Ton Of Love 4. What Is This Thing Called Love 5. Honesty 6. Nothing 7. Formaldehyde 8. Hyena 9. Two Hearted Spider 10. The Phone Book 11. Bird Of Prey