I Bad Religion sono senza ombra di dubbio una delle band californiane di maggior successo. Attivi dal 1981 quando pubblicarono il seminale “How Could Hell Be Any Worse?” (Epitaph, 1981) hanno saputo tracciare una strada innovativa che legasse il punk e l’hardcore attraverso una via melodica in seguito imitata da tantissime altre band, ma che non hanno mai raggiunto i vertici compositivi del duo formato da Brett Gurewitz e Greg Graffin.
Sin da giovanissimi (il primo Ep e l’album d’esordio composti da poco più che sedicenni) i due hanno saputo imporre una cifra stilistica dove sulle ritmiche serrate e velocissime, impreziosite da stacchi e ripartenze furiose, vengono innestate robuste liriche che rappresentano un valore aggiunto, per come tendono a spingere l’ascoltatore a riflettere “sul mondo che lo circonda e sul ruolo che ricoprono all’interno di esso”. Dopo un secondo disco di matrice new wave, l’abiurato “Into The Unknow” (Epitaph, 1982) che rappresentò non solo un insuccesso commerciale per la casa discografica fondata da Gurewitz per pubblicare i dischi dei Bad Religion, ma anche la perdita di molti fan della prima ora. Dopo che il gruppo venne messo in stand-by per qualche anno (Nel 1985 l’Ep “Back To The Know” riporta in auge il nome dei Bad Religion), la svolta arriva nel 1988 quando la band pubblica il primo di una serie di capolavori: “Suffer” che avvia quello che può essere considerato il trittico d’oro della prima era dei Bad Religion. Tra il 1988 ed il 1990 insieme a Suffer vengono pubblicati due dei dischi che consegneranno il quintetto composto oltre che dal chitarrista e produttore Mr. Brett e dal cantante Greg Graffin, il bassista Jay Bentley, il batterista Pete Finestone ed il chitarrista dei Circle Jerks, Greg Hetson, alla storia del rock. “No Control” (1989) e “Against The Grain” (1990) vengono ristampati in questi giorni insieme alla raccolta “All Ages” (1995) che raggruppa brani tratti dal primo album fino a “Generator” (1992), con l’ovvia esclusione di “Into The Unknow”. Nonostante gli studi accademici avessero portato Greg Graffin lontano da Los Angeles, al suo rientro la band tornò n piena attività dando alle stampe quel Suffer che li riportò al centro dell’attenzione della comunità punk rock. Nonostante Mr. Brett fosse sempre più richiesto come produttore o ingegnere del suono, i tempi erano maturi per dare un seguito al primo best seller di casa Epitaph, con le idee ben chiare di non ripetere l’errore commesso tra il primo ed il secondo album, ma di creare ancora un disco che doveva essere “veloce, aggressivo e orecchiabile”.
“No Control” è proprio questo. Un’ideale prosecuzione di “Suffer” con una title track potente scritta da Graffin che vuole rivolgere un monito di stampo ecologista sui rischi che comportano i tentativi di modificare l’ambiente. Prendendo spunto da una frase dello scienziato scozzese James Hutton, precursore della geologia moderna, Graffin crea un cortocircuito tra la prospettiva umana molto cupa del “No Control” e quella liberatoria del geologo: “non c’è traccia di un inizio/nessuna prospettiva di fine/quando ci disintegreremo tutti accadrà di nuovo”.
Il disco è ricco di canzoni memorabili come “Automatic Man” un brano che parla della quotidianità e di alcuni elementi di automaticità di cui spesso non ci rendiamo conto.
“I Want To Conquer The World” un pezzo satirico con Gurewitz che spiega: “è una critica ironica del nazionalismo, dell’idea di machismo e del patriarcato”. Ma tutto il disco è infarcito di canzoni memorabili come “Change Of Ideas” un inno alla rivoluzione fatta attraverso le idee, i pericoli annessi alle infide promesse del progresso (“Progress”) il male oscuro della società moderna (“Anxiety”) o la conclusiva “The World Won’t Stop”.
Il passo successivo è rappresentato da “Against The Grain” un disco che arriva dopo le prime tournée in Europa ed un successo che si amplia sempre di più. Dopo avere creato due dischi dal suono immediatamente riconoscibile ed intercambiabili tra di loro, per numero di canzoni e tempi di durata molto simili, con testi pieni di cose da dire. Bisognava allora cercare di diversificarsi all’interno di un format che non stravolgesse i canoni della loro musica come accaduto con “Into The Unknow” che aleggiava nelle loro menti come un fantasma. Soprattutto dal punto di vista dei contenuti letterali, mentre Graffin rimaneva ben saldo sulla sua cifra stilistica, Gurewitz cercava una via più semplice per dire le cose senza costringere gli ascoltatori a fare ricerche complesse per interpretare i testi. Voleva rendere più poetiche le sue liriche come facevano alcuni dei suoi autori preferiti come Elvis Costello, Bob Dylan, Joe Strummer e Bernie Taupin. Il risultato fu eccellente a partire proprio dalla canzone che dà il titolo all’album. Un brano che parla delle difficoltà di resistere nelle proprie convinzioni quando queste sono contro il pensiero mainstream.In quest’ottica si può inquadrare perfettamente il brano “Anesthesia” ispirato a Watching Detectivies di Costello che Mr. Brett definisce come “una canzone che avesse un testo con diversi piani di significato”. Un brano che parla della droga e della “forza ammaliatore della tossicodipendenza”. Ma la canzone racconta anche la storia di una donna e può essere intesa come il racconto di un giallo con omicidio. Graffin da par suo continua a scrivere canzoni efficaci come “Modern Man” violenta invettiva contro il modo con cui la modernità ha contaminato il pianeta. Ma anche brani controversi come “God Song” dura invettiva contro la religione in cui in seguito ammetterà di essersi spinto troppo oltre quando capì che “ridurre la religione a qualcosa di piccolo ed insignificante, avrebbe diminuito la forza contestatrice del brano”. Ma più di ogni altro “Against The Grain” verrà ricordato per la presenza di una delle maggiori hit del catalogo dei Bad Religion: “21st Century (Digital Boy)”. Un brano lento sullo stile di “Sanity” o “Along The Way” con in più un ritornello che non può che essere cantato in coro. Una canzone intrisa di ironia e di immagini che catturano l’attenzione, mentre il ritornello (My daddy’s a lazy middle-class intellectual/My mommy’s on Valium, so ineffectual”) pur non riferito alla sua esperienza familiare erano frutto delle sue osservazioni delle “distopie che vedevo nel mio mondo”. Altra curiosità del testo è rappresentata dall’inserimento in esso dei titoli dei due album precedenti Suffer e No Control quasi a dare un imprinting punk rock ad un brano che tutto sembrava fuorché essere una tipica canzone punk dei Bad Religion. Osteggiata dai suoi stessi compagni di band 21st Century (Digital Boy) è non solo oggi immancabile nelle scalette dei concerti, quando suona molto più attuale ai giorni nostri che non all’alba dei ’90 quando venne scritta.
La terza ristampa che oggi la Epitaph ha messo sul mercato è la compilation “All Ages” pubblicata in origine nel 1995 per sfruttare la maggiore popolarità ed il riscontro commerciale che il gruppo avrebbe ottenuto con il passaggio su Major. “All Ages” è un bignami della prima era dei Bad Religion con i suoi 22 brani che coprono l’arco temporale che va da “How Could Hell Be Any Worse?” a “Generator”. Quindici anni di carriera condensati in una sorta di greatest hits con i brani non riportati in sequenza temporale, ma mischiati tra di loro per dare risalto anche a brani importanti della prima ora come “Fuck Armageddon…This Is Hell” e “Along The Way” così come singoli di successo come “Atomic Garden” che descriveva i pericoli della proliferazione nucleare con il pericolo che la disgregazione dell’impero sovietico poteva creare se il suo arsenale finiva in mani sbagliate. Accanto ad esse anche “Generator” che darà il titolo al seguito di “Against The Grain” con un testo di Gurewitz che parla di Dio e lo illustra con undici diversi paragoni con espressioni altamente poetiche. “All Ages” può essere il giusto mezzo d’introduzione a questa fantastica band che più di ogni altra a saputo tracciare una strada che molti hanno seguito ricavandone magari anche un maggiore successo commerciale, basti pensare a gruppi come Offspring, Green Day, NOFX e Rancid, ma che non ne hanno mai potuto eguagliare lo spessore artistico.
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autore: Eliseno Sposato
Le citazioni presenti nell’articolo sono tratte da: “Do What You Want – La Soria dei Bad Religion” di Jim Ruland e Bad Religion (ed.italia Sabiri editore, 2020)