E’ incredibile che i quattro ragazzi marchigiani che compongono i Cheap Wine (Marco Diamantini alle chitarre e voce, Michele Dimanantini alle chitarre, e alla produzione, Francesco Zanotti alla batteria e Alessandro Grazioli al basso), dopo un curriculum ormai già folto di risultati (cinque album già all’attivo, diverse collaborazioni anche all’estero, comparse su programmi radiofonici nazionali e internazionali) siano ancora autoprodotti, e non abbiano trovato un’etichetta che riesca a sponsorizzarli su scala più vasta. Quest’ultimo lavoro, Freak Show, si presenta poi particolarmente maturo, non tanto nella musica e negli arrangiamenti, dove i Cheap Wine si mantengono rigorosamente entro i limiti e confini musicali a cui hanno abituato i loro ascoltatori, quanto nei testi, più incisivi, cattivi, mordenti che mai, specialmente in canzoni come Freak Show, Time For Action, Exploding Underground, Naked Kings. Non possiamo certo parlare di svolta verso l’impegno social-politico, per carità, ma di sicuro c’è molta voglia di arrabbiarsi e fare satira nervosa sui nostri tempi, anche se riferimenti e accostamenti sono rigorosamente sfumati e indistinti.
Quanto alla musicalità, vi ritroviamo il sound tipico dei Cheap Wine, il rock-blues contaminato da certo brit-pop, ma con una novità: due o tre ballate che ricordano da vicino il sound melanconico dei Verve (Naked Kings per la verità è sin troppo simile a Lucky Man, ma facciamo finta di niente), e che fanno evolvere i ragazzi verso un’intensità interpretativa abbastanza inedita, soprattutto nell’ultima track, Evil Ghost, che da sola vale l’album e forse anche qualcosa di più: tre minuti di pura musica, nella parte conclusiva del pezzo (che ha pure un bellissimo testo, uno dei più ispirati), di grande ispirazione, che veramente trasportano verso livelli alti di espressività rock.
Un lavoro dunque più che dignitoso, che non fa compiere una sterzata radicale allo stile dei Cheap Wine, ma che li conferma nelle loro capacità (e nei loro limiti, anche), e nella loro ricerca di trovare spazio, qui in Italia, per un rock che non sia nemmeno lontanamente quello “nostrano” e un po’ canzonettato delle tante band che spadroneggiano nelle nostre radio.
Autore: Francesco Postiglione