Che sia l’“Erant in quadam…” di Apuleio, il “Es war einmal” dei fratelli Grimm, il “Once upon a time” della lingua inglese, il “Il était une fois” della lingua francese, o il nostro “C’era una volta”, da secoli, nella migliore tradizione narrativa, per raccontare una storia che ha in sé del “fantastico”, si utilizza, come introduzione, tale espressione.
E sicuramente David Grubbs è musicista che ha del “fantastico”, con una carriera che, come in una fiaba da “c’era una volta”, sin dagli esordi è stata segnata da mirabolanti produzioni che hanno traghettato la musica dagli anni ottanta agli anni novata attraverso mari senza tempo; basterebbe solo considerare la sua militanza nei Squirrel Bait (da citare “Skag Heaven” del 1987), nei Bitch Magnet e nei Bastro (da citare “Diablo Guapo” del 1989) oltre, ovviamente, a quella negli eccelsi Gastr del Sol, una delle massime espressioni artistiche degli anni novanta e di tutti i tempi.
Recentemente, su queste pagine, in occasione dell’uscita di “We Have Dozens Of Titles” dei Gastr del Sol non a caso si titolò “quando la Storia attinge dalla propria storia”, e quella altrettanto incredibile e meravigliosa storia, anch’essa “fantastica”, vedeva quali interpreti “David Grubbs e Jim O’Rourke, due dei più fulgidi musicisti della fine del primo millennio (e oltre)”, come senza alcun tentennamento li definii in quelle righe.
In chiusura di articolo, poi, aggiunsi “Per completezza espositiva, ma soprattutto per rilevanza artistica, è opportuno annoverare anche alcuni lavori solisti di David Grubbs quali l’irrinunciabile “The Thicket” del 1998 (memorabili “The Thicket”, “Two Shades Of Blue”, “Fool Summons Train”, “Buried In The Wall”; album incredibile anche nei brani brevi e più sperimentali quali “Orange Disaster”, “40 Words On ‘Worship’”) e l’ottimo “The Spectrum Between” del 2000 (“Seagull And Eagull”, “Whirlweek”, “Gloriette”, “Preface”, “Two Shades Of Green” …). Nel 2002 Grubbs darà alle stampe il più “rock” “Rickets and Scurvy” in cui la presenza dei Matmos daranno frutti come nella bella “Transom” mentre toglieranno non poco con i due strumentali “Precipice” e “Crevasse”; per il resto il disco si distingue per “A Dream To Help Me Sleep”, “The Nearer By and By”, “Pinned To The Spot” … e che, se epurato dei due suddetti strumentali, sarebbe stato impeccabile”.
Ma la carriera di Grubbs non si è limitata a citati gruppi e dischi (sebbene quanto dato alle stampe con i Gastr del Sol e “The Thicket” e “The Spectrum Between” restino i suoi lavori più pregevoli), vantando una continuità nel tempo costante divisa tra pubblicazioni soliste e collaborazioni; se la recensione di “We Have Dozens Of Titles” era però dei Gastr del Sol (e quindi al David Grubbs “fuori” dai Gastr del Sol si era dato uno spazio marginale), in questa sede non mi posso esimere da citare del solo Grubbs (le tante collaborazioni esuleranno anche da tale trattazione) quantomeno gli ulteriori, “fedeli alla linea”, e ottimi “The Coxcomb” del 1999 (con la poetica “The Coxcomb”), “A Guess At The Riddle” del 2004 (menzione per “Knight Errand”, “The Neophyte”, “Your Neck In The Woods”, “Hurricane Season”…), “An Optimist Notes the Dusk” del 2008 (con la bella “An Optimist Decline”, “Holy Fool Music”, “Eyeglasses Of Kentucky”…), “Prismrose” del 2016 (da ricordare “How To Hear What’s Less Than Meets The Ear”, “Manifesto In Clear Language”, “Nightfall In The Covered Cage”, “The Bonsai Waterfall”…) e “Creep Mission” del 2017 (con “Skylight”, “Creep Mission”, “The C In Certain”…).
E così, giunti al 2025, è la “volta” di “Whistle from Above” (in uscita il 28 febbraio per Drag City) “(David Grubbs’ first Drag City release in over a decade and his first-ever instrumental album for the label” – dal comunicato stampa); se poi sul sito della Drag City (https://www.dragcity.com/products/whistle-from-above – consultato il 28.12.24) si legge: “David opened his deeply personal solo pieces for engaging conversational gambits with modern masters Rhodri Davies, Andrea Belfi, Nikos Veliotis, Nate Wooley, and Cleek Schrey”, nel comunicato stampa è precisato: ‘Thus he sought out collaborations with folks he’s called “some of the musicians whom I adore most on the planet”— Rhodri Davies, Andrea Belfi, Nikos Veliotis, Nate Wooley, and Cleek Schrey — and their stunning contributions flesh out Grubbs’ innate, deeply person brand of minimalism’.
Passando all’ascolto, apre il disco una sentita “Whistle from Above”, in cui la tensione, sospesa tra grazia e mestizia, conduce a “The Snake on Its Tail”, in cui, su un lacerato tema, emergono abrasioni, distorsioni, frammentazioni di batteria e un sospirato fiato, per un pregevolissimo momento d’ascolto.
“Hung in the Sky of the Mind” è evocativa e narrativa nel dialogo tra pianoforte e l’“arpeggio” delle corde.
Sebbene “Scrapegrace” alzi i toni, non muta l’in(tenzione) drammatica da asfittico precipizio che assume tinte da rassicurante oscurità nelle dense desolazioni di “Poem Arrives Distorted”.
“Later in the Tapestry Room” rompe gli equilibri con la sua elettronica “noise” che fa da contraltare ai minimali accenni di melodia ora scomposti, ora sottesi …
Se più che riuscita e in linea con (parte) della produzione di Grubbs è “Queen’s Side Eye”, “Synchro Fade Pluck Stutter Slip”, con la sua sperimentazione (anche essa marchio di fabbrica di Grubbs), chiude l’ennesimo gradito “omaggio” musicale firmato da quel “fantastico” e geniale musicista di nome David Grubbs che ho anche avuto l’occasione e la fortuna di ascoltare e vedere dal vivo tanti, tanti anni fa…
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