Gli A Perfect Circle inaugurano l’inizio del loro secondo tour europeo, che segue l’uscita del nuovo lavoro Thirtheenth Step e noi fortunatamente c’eravamo.
L’inizio del live previsto per le 21,00 slitta di un’ora giusta in un’attesa sembrata interminabile, in cui tutti i presenti hanno cominciato a convincersi di aver sbagliato concerto a causa del ripetuto ascolto in sottofondo degli ultimi Massive Attack ed in cui soprattutto si è cercato di azzeccare la disposizione della band sul palco, equipaggiato su due livelli e praticamente tagliato a metà da una struttura con un grande telone nero nel cui centro spiccava un altrettanto grande cerchio bianco.
A dieci minuti dall’inizio, come se ancora non fosse stato chiaro a qualcuno il calibro dell’evento, ci pensano gli organizzatori a dissipare ogni dubbio: è vietato riprendere il concerto, è vietato fotografare la band con l’ausilio del flash e se per favore, manda a dire Maynard Keenan, si riesce a non fumare è meglio.
Finalmente la band prende posto, tutti eccetto il vocalist ormai disperso, e in una atmosfera ugualmente evanescente che su cd comincia a suonare “Vanishing” 5^ traccia dell’ultimo lavoro, durante la quale un effetto di luce risolve il mistero e mostra l’ombra di Maynard dietro il grande telone, che cade finalmente al secondo pezzo, scoprendo una specie di palco nel palco sopraelevato rispetto al resto, una tana buia dalla quale il cantante anima dei Tool non si è mai allontanato, non solo, ma dalla quale si è esibito spalle al pubblico per l’intero live.
Alcuni interpretano la scelta come un capriccio da rockstar, altri tra cui mi schiero pensano che non sia poi così importante sapere che faccia abbia l’uomo che canta, lasciandosi visibilmente e sinceramente prendere dalla musica e che fa spettacolo solo con la sua voce calda, ferma, rabbiosa e dolce a seconda dei passaggi. A voler essere venali da solo Maynard basterebbe a far pensare di aver speso bene i propri soldi. Ma tutto ciò sarebbe troppo riduttivo. I A Perfect Circle sono professionisti e si vede. Scorrono una dopo l’altra tutte le melodie di Thirtheenth Step ad eccezione di “A Stranger” senza considerare “Crimes” e “Lullaby” che non sono altro che due intro e rispolverano alcune dei pezzi del primo album Mer de Nom come “The Hollow”, “Magdalena”, “Judith”, la splendida “3 Libras” per citarne alcune.
Momento topico della serata sono i 4 minuti e 30 di “Pet” coinvolgente e ipnotica. Impeccabili le loro esecuzioni tranne per una sbavatura di Jeordie White che fa sorridere Billy Howerdel e che nulla toglie alla estrema cura dei particolari, tendente a valorizzare le melodie dei pezzi nel loro insieme. Tanto è vero che è chiaro, come pur venendo da anni di rock, James Iha si limiti ad eseguire in tutte le canzoni una ritmica base, che funge da completamento dell’altra ritmica, la principale di Billy, al fine di ottenere un efficace effetto d’insieme. Stesso ragionamento per i suoni. Due chitarre, che effettate e distorte al minimo, praticamente sfruttano il naturale suono Gibson, delegando al basso, al contrario quasi sempre molto distorto, il compito di mantenere una costante potenza.
Tutto governato da Troy Van Leeuwen che vibra colpi violentissimi e di precisione certosina sulla sua D&W, emozionante davvero. Purtroppo alle 23,10 è già tutto terminato e sembra essere stato troppo breve. Niente bis e anche qui parte della calca commenta innervosita, ma sebbene l’acustica del sito non sia stata proprio buona, è stato veramente bello esserci.
Autore: Renata De Luca