Cosa vuoi dubitare di artisti che, da un quarto di secolo, non deludono mai le aspettative ed hai sempre la sensazione che questa onestà e sincerità compositiva è l’ambo vincente che ne conferma la validità sulla ruota del pentagramma. Prendete il caso del livornese Luca Faggella: è dal ’97 che opera con impegno e dedizione per editare dischi sempre all’altezza e, se fra una nuova release e l’altra, passa anche un settennio, state pur certi che il suo è un silenzio relativo, poiché è comunque in continuo fermento creativo. Infatti, è dal 2015 che non usciva allo scoperto dall’epoca di “Discografia: antologia di canzoni 1998-2015”. Oggi, il gran ritorno è suffragato dalla bella testimonianza del nuovo “Nachthexen” : 11 brani (10 per la versione vinile) pennellate su assi post-rock, dark-wave e indizi shoegaze. Il titolo fà riferimento alle “streghe della notte”, ossia il terribile reggimento rosa sovietico dedito ad un micidiale bombardare notturno che lasciava poco scampo ai malcapitati, mirati dall’efferata aviazione in questione. Luca sfodera all’istante le trame allarmistiche della titletrack e poi accoglie la voce di Elisa Arcamone nell’ottimo singolo “Falene”, amalgamato in distinguibile fascino narrativo e la singer raddoppia il suo carisma partecipativo anche nella fluida wave di “Jericho”. Niente male se in “Tre” e in “La mosca” stagnano acque chete, in quanto servono a stemperare effluvi tensivi che, alla lunga, sarebbero nocivi alla causa. Invece, “Clown fall” accende una fluorescenza di post-pop coraggiosa e combattiva che non teme confronti (nel caso ce ne siano…) e non sto dicendo una “Eresia” se dico che quelle di Faggella sono ottenebrazioni giuste, equilibrate ma imprescindibili, senza le quali non darebbe la giusta misura del suo intento rabbioso e lacerante. Avvolto in percussioni orientali, “Un milione di volte” è un atto lineare ma strambo, normale ma spiazzante, umanamente lisergico. In chiusura, si palpa aria di prece apocrifa nell’ipnotica “Giorgiana Masi”. Tout court, Luca mette in cascina un buon lavoro con ardore d’indole e l’ardire in chiave low-fi. Magari, aspettando un po’ di più poteva perfezionare (ulteriormente) l’insieme già di per se lodevole ma, forse, vibrava in lui l’anelito di spezzare sette anni di (ripeto..) relativo silenzio, che gli han scippato la chance di confezionare un piccolo capolavoro post-rock ma, la prossima volta ci riuscirà: aspettare per credere.
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autore: Max Casali