Il nome evoca illustri esponenti ‘krauti’ di un remoto passato, ma gli italianissimi Tempelhof, di quel mondo teutonico guardano più la base glitch che nei primi duemila si è andata consolidando grazie a nomi di punta quali Tarwater e Notwist. Al netto della matrice indietronica però.
Mutuandone quindi gli aspetti più atmosferici, i Tempelhof arricchiscono il loro bouquet elettronico con le istanze radicate nella scena nordeuropea che dell’elettronica contemporanea è forse il baluardo più resistente alle insidie delle mode.
Freddezza ambient e colore/calore analogico è la formula vincente quindi ed il duo mantovano l’ha capito donandoci un bel capitolo nel panorama elettronico nazionale che forse nel clubbing ha pure qualche nome da vantare ma nella ‘meditativa’ stenta a decollare, a parte alcuni nomi veramente di nicchia e quindi accaparrati da lungimiranti labels che nei mercati esteri contano davvero.
E’ bello comunque sfuggire a definizioni limitanti, soprattutto nella scena elettronica, e con i Templehof si può, il downtempo di base rende le loro escursioni adatte sia a momenti più riflessivi che a quelli in cui il movimento – sebbene rarefatto – è suggeribile.
Le immagini estratte da certe texture analogiche si confondono in un presente senza confini in cui potersi muovere liberamente. Elettronica italiana di qualità insomma, di cui essere orgogliosi.
autore: A. Giulio Magliulo