Avevo uno skateboard già più di 20 anni fa, ancora infante. Uno di quelli stravecchi, a forma di supposta (non le tavole più “regolari” a cui siamo abituati), col quale facevo sempre la stessa curva in giardino. Mai percepite le sue potenzialità, figuratevi come ci rimasi di merda quando un amico, fornito del “nuovo” modello, riuscì a farlo avanzare finanche in salita.
Da allora lo skateboard è entrato nella mia vita perlopiù attraverso canali pubblicitari, come forma di “sport” capace di convogliare quella crescente fetta di mondo giovane interessato alle emozioni forti. Velocità, equilibrio, divertimento, adrenalina: qualcosa di cui si può ricercare un’essenza anche in altri campi: abbigliamento (ultra-street-wear-extra-large) e musica. In quest’ultimo campo gli orientamenti sono due: l’hip hop (in assonanza col tipo di abbigliamento) e il punk/hardcore (in assonanza con le accennate connotazioni dello sport).
Non è difficile capire che le due compilation in questione, una volta nota la “specializzazione” della Session Records, seguono la seconda delle citate direttrici musicali. D’istinto direi, entrando più nello specifico, che sia la versione melodico-saltellante-californiana del punk la soundtrack più idonea per questi scavezzacollo rischiaossa e giunture: riffoni-sirena dalle tonalità alte, cori, “tachi-batteria” (altrimenti detto: tempi “moltiplicati”, drumming isterico ma metronomico). I due sampler in questione smentiscono in parte questa sensazione. La faccenda è un po’ più eterogenea.
Soprattutto da quanto emerge dal primo volume: ‘Skate Radio’ di Clay Wheels è un breve e intenso attacco punk ’77, mentre il cantato animalesco e i cori degli US Bombs ci spingono, addirittura, in territori quasi oi!. Più mid-80s e abrasivo il punk di Mike V and the Rats e Smut Peddlers, più 60s-oriented il sound di Heartaches e Cacti Widders (garage), Powerflex 5 (lento surf strumentale) e Olsonite (mod-punk). E se Sten Guns rifà ‘Here We Are Nowhere’ degli Stiff Little Fingers (magari Belfast è il paradiso degli skaters – hai visto mai?), gli Shed sbavano del feroce hate-punk e Johnny and the Dudes guardano quasi al metal. Un po’ di nu-punk con cori “secondo la media” (The Faction, Westbound Stagecoach), emo-punk “taroccato” (Operatic), vecchio street punk (The Bunns). Il meglio lo danno i Bark Hard: schizo-booze-freak-punk assetato di birra (‘Ice Cold Beer’). Ray Barbee chiude degnamente (per essere una chiusura) con uno sweet-guitar instrumental.
Più omogeneo invece il secondo volume. Meno pregiato per i miei gusti (vera apologia del Fat Wreck Chords sound), anche se forse più in sintonia con l’oggetto/spunto delle compilation. Non mancano furiosi episodi post-HC né energiche cavalcate emo (ma nemmeno un assurdo episodio di puro pop melodico). Vi risparmio i nomi: procuratevi il primo capitolo e attenti alle tibie nei salti.
Autore: Roberto Villani