Di Pete Docter e Bob Peterson
Il biglietto costa 7 euro, più o meno. Però la visione a bocca a aperta della mongolfiera colorata da migliaia e migliaia di palloncini è impagabile. “Up” è un affresco leggero e poetico. Il resto, la storia, è una nuova seducente favola della Pixar, ormai factory di riferimento per le opere animate. Un misto di ironia e sentimento disneyano: buonismo per fortuna frenato dalla lucida follia degli autori ex Apple. Le motrici mondiali del cartoon d’autore – che finisce nelle playlist dei festival e strappa applausi – sono essenzialmente due: la americana Pixar, appunto, e lo studio Ghibli del giapponese Miyazaki. Beh, se lo sono meritato. Data una certa perfezione grafica, difficilmente migliorabile senza scadere nel videogame, con “Up” la Pixar raggiunge un’ulteriore tappa verso il cartoon “ambivalente”, leggibile cioè sia dagli adulti che dai bambini perché costruito su uno script che non ha cedimenti nè troppo infantili nè troppo impegnativi, all’interno di una gradevolissima cornice animata. E se le avventure del pesciolino “Nemo” procedevano ancora per accumulazione “disneyana”, le peripezie del nonnetto e del boyscout cicciobello ottengono qualcosa in più. Appaiono rinfrescate da animosità picaresca e fantasy, e poi riadattate dal melò. In 3D, poi, l’effetto visionario – un cottage che veleggia nel cielo e affronta tempeste – si fa extralarge. Una casetta errante come, guarda un po’, il castello di Howl miyazakiano. Le eccellenze si toccano.
Autore: Alessandro Chetta